giovedì 30 luglio 2015

Capitolo 16 di THE SHADOWS di J.R. Ward





Capitolo 16



Abalone non era abituato alla violenza. Non nel mondo esterno e certamente non nella casa in cui sua figlia dormiva, seguiva lezioni di canto e mangiava con lui.

Quando Rhage scaraventò Throe a terra di fronte a Wrath, Abalone soffocò un rantolo con il palmo della mano. Era da veri codardi mostrare qualsiasi tipo di shock di fronte alla Confraternita e lui pregò che nessuno di loro lo avesse notato.

Non sembrava che se ne fossero accorti. La loro attenzione era focalizzata sul maschio dai capelli biondi vestito in abiti semplici che era, a tutti gli effetti, nient'altro che uno zerbino davanti agli anfibi del Re.

Wrath sorrise, scoprendo le zanne che apparivano più lunghe delle dita di Abalone. «Non ti aspettare che ti aiuti a tirarti su.» Quando Throe si mise in ginocchio, il Re incrociò le braccia sul petto. «E non chiedere di mostrarti l'anello. Sarei tentato di usarlo per spaccarti la faccia.»

Una volta in piedi, Throe si scrollò di dosso la polvere e raddrizzò le spalle. Non era vicino a Wrath per dimensioni, ma era tutt'altro che un peso leggero, il suo corpo somigliava più a quello di un soldato che alla figura sottile che i maschi dalla sua classe tendevano a favorire.

«Non ho fatto nulla per meritare la presentazione del tuo anello» esclamò Throe in tono grave.

«Beh, visto? Su qualcosa siamo d'accordo.» Gli occhiali a mascherina di Wrath si inclinarono verso il suono della voce di Throe. «Allora, il mio amico Abalone dice che hai in mente qualcosa.»

«Ho lasciato Xcor e la Banda dei Bastardi.»

«Vuoi un francobollo commemorativo?» mormorò Butch.

«Posso stamparlo con la griglia della mia macchina?» sbottò Rhage.

Le sopracciglia di Wrath si serrarono sul ponte di quegli occhiali scuri, come se non avesse apprezzato gli scambi avvenuti tra i suoi maschi. «Cambio di rotta per te, non è vero?»

«Gli obiettivi di Xcor non sono più miei.»

«Giusto.»

«Sarebbe dovuto accadere molto tempo fa.» Throe guardò oltre la propria spalla e Abalone avrebbe preferito non essere l'oggetto di quell'occhiata. «Come il mio lontano cugino ricorda, non ho deciso io di essere un soldato. Grazie a circostanze indipendenti dal mio controllo, sono stato costretto a sfruttare la dubbia gentilezza di Xcor. Ha preteso che lo ripagassi con un mandato di servizio. Come sapete, avendomi trovato sanguinante in quel vicolo molti, molti mesi fa, i suoi metodi per garantire la lealtà non sono discutibili in natura.»

Ah, già, è vero, si ricordò Abalone. Qualche tempo prima, Throe era stato scoperto ormai moribondo dalla Confraternita con una coltellata allo stomaco non inflitta da un lesser. Infatti, da quanto Abalone aveva sentito, il maschio era stato ferito proprio dal capo dalla Banda dei Bastardi. Throe era stato curato dalla Confraternita, che aveva cercato di raccogliere informazioni da lui, e poi lo aveva rilasciato per ritornare da Xcor con un messaggio.

Girava voce che Layla avesse nutrito il soldato mentre era in punto di morte, l'Eletta aveva offerto la sua vena a uno che aveva presunto fosse un nobile guerriero, non al nemico del suo Re.

Che storia incresciosa era stata.

Le narici di Wrath si dilatarono come se stesse testando il profumo del maschio. «Quindi, cosa ti aspetti che me ne faccia di questa notiziola lampo? Senza offesa, ma dove sei e a chi sei affiliato non influenza il mio mondo in un modo o l'altro.»

«Ma conoscere la posizione in cui la Banda dei Bastardi dorme lo farebbe.»

«E tu me la dirai» concluse il Re con voce annoiata.

«Pensi che stia mentendo?»

«Mai sentito parlare di quel figlio di puttana del Cavallo di Troia?» sputò fuori V. «Perché lo sto guardando adesso.»

La mascella di Wrath si contrasse. «Dacci un indirizzo se vuoi. Ma proprio come per le tue alleanze politiche, il domicilio della Banda dei Bastardi non si trova ai primi posti sulla mia lista della merdaccia da risolvere.»

«Sei un pazzo allora-»

All'improvviso, i membri della Confraternita balzarono in avanti e il potente e chiaro grido di Wrath fu l'unica cosa a far sì che Throe tenesse ancora la pelle sulle sue ossa.

Il Re si chinò in avanti e abbassò la voce fino renderla una specie di sussurro. «Fa' a te stesso un favore, stronzo, e sta attento. Questo gruppo di teste di cazzo rabbiose ha un grave problema di udito anche quando si tratta di ordini impartiti da me, e a loro non piaci tanto quanto non piaci a me. Vuoi vivere abbastanza a lungo per vedere un'altra notte? Dovrai cambiare atteggiamento.»

«Dovresti preoccuparti di Xcor» continuò imperterrito Throe. «Lui è capace di ogni cosa, e i soldati che combattono per lui soffrono dello stesso tipo di devozione che questi maschi mostrano nei tuoi riguardi.»

Wrath si lasciò sfuggire una risata, il suono era in qualche modo più malvagio e letale rispetto alla bruta aggressività che i Fratelli avevano appena mostrato. «Grazie per la segnalazione. Me ne ricorderò. Abalone?»

Abalone emise uno squittio e scattò in avanti. «Sì, mio Signore.»

«Hai intenzione di lasciare che questo maschio viva con te? Parente con parente?»

«No, gli ho detto che dovrà andarsene questa notte.»

«Non buttarlo fuori a calci per causa mia. Non mi interessa se resta oppure se se ne va.»

Abalone aggrottò la fronte - e si chiese se stava per essere declassato. «La mia fedeltà è per voi e voi soltanto. Ai miei occhi, lui è corrotto, non importa ciò che dice e quali siano le sue affiliazioni.»

Wrath emise un vago suono dalla parte posteriore della gola e riallineò il viso verso Throe. «Dici che le priorità di Xcor non sono più le tue.»

«Esatto.»

«E non hai intenzione di perseguire i suoi obiettivi.»

«No. Assolutamente no.»

Ci fu una pausa in cui le narici di Wrath vibrarono come se stesse mettendo alla prova il profumo del maschio.
«Molto bene, allora.» Wrath annuì alla sua guardia privata. «Andiamocene da qui. Ho del lavoro vero da sbrigare.»

Nessuno si mosse. Né i Fratelli. Né Throe. Tantomeno Abalone, che aveva la sensazione che i suoi mocassini fossero inchiodati al pavimento.

«V» scattò il Re. «Usciamo da qui.»

Ci fu un momento imbarazzante, poi il fratello Vishous e il fratello Butch si posizionarono accanto al Re. Stando vicino alle sue spalle, uscirono fuori con Wrath, Zsadist alle spalle che chiudeva il gruppo.

Gli altri rimasero indietro, facendo chiaramente la guardia a Throe fino a quando il Re non avesse lasciato la proprietà sano e salvo.

«Abalone» chiamò Wrath, fermandosi alla porta d'ingresso.

Al suono del suo nome, Abalone schizzò fuori dalla biblioteca e attraversò l'ingresso con il cuore in gola. Sapeva ormai da moltissimo tempo di amare il suo Re, ma l'idea che avrebbe perso il suo lavoro? Aiutare i civili negli incontri e trovare aiuto era-

«No, non sei licenziato» sussurrò Wrath. «Per l'amor del cielo. Cosa farei senza di te?»

«Oh, mio ​​Signore, io-»

«Ascolta, Abalone. Voglio che lo lasci rimanere qui per tutto il tempo che vuole. Non credo per niente a questa stronzata. Potrebbe davvero aver lasciato Xcor e i Bastardi, ma non mi fido di lui, e io sono uno che crede nel tenersi vicini i nemici.»

«Certo, mio ​​Signore. Sì, sì. Naturalmente.» Abalone si inchinò anche se un improvviso disagio sconvolse la sua mente. «Farò qualsiasi cosa e tutto ciò che desiderate.»

Come se il Re ancora una volta fosse in grado di leggere le menti, Wrath esclamò: «So che sei preoccupato per tua figlia. Fino a quando non si sistema tutto, perché non la lasciare soggiornare nella mia casa pubblica? Può avere uno chaperon, e la sicurezza è monitorata ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette lì».

V si avvicinò. «Abbiamo due diverse gallerie sotterranee che conducono fuori dalle suite nel seminterrato, e invieremo un nostro doggen per prendersi cura di lei. Sarà perfettamente al sicuro.»

Oh, santissima Vergine Scriba, pensò Abalone.
Solo che poi pensò che Paradise stava diventando irrequieta, e non perché fosse innamorata o ansiosa di trovare un compagno. Lei era una giovane femmina vivace con così tante opportunità davanti a lei, eppure come aristocratica, le sue opzioni erano limitate.

Forse cambiare casa per un po' avrebbe avuto i suoi vantaggi.

E di certo non voleva che Throe le girasse attorno.

Combattuto tra la preoccupazione genitoriale, il dovere verso il suo Re, e la tristezza che la sua unica figlia stesse di fatto crescendo, lui si ritrovò ad annuire con un picco di nausea. «Sì, grazie. Credo che le piacerebbe.»

«Mi assicurerò personalmente che sia al sicuro» disse Zsadist, inclinando la testa una volta, come se stesse facendo una promessa. «Ho una figlia. So come ti senti.»

Sì, pensò Abalone. Aveva sentito che il Fratello Zsadist, nonostante la sua più temibile influenza, era in realtà un maschio di famiglia con una figlia adorata anche lui.

Improvvisamente, Abalone sentiva meglio, e fece un profondo inchino al combattente sfregiato.

«Grazie, Padrone. Lei è il mio più prezioso amore.»

«Bene. È deciso.» Di colpo il volto di Wrath cambiò posizione, come se stesse guardando sopra la spalla di Abalone verso la libreria. «Xcor è prevedibile nella sua brutalità, un vero e proprio combattente vecchia scuola venuto fuori dalle pagine dal taccuino del Carnefice. Ma quell'attacco finale contro il mio trono era una tattica che coinvolgeva la legge e la mia amata Regina mezzosangue. Questo è il modo in cui combattono gli aristocratici. Xcor non ha tirato fuori quel piano dal suo culo - doveva averlo escogitato Throe. È l'unica spiegazione possibile. Per cui può di fatto aver chiuso con Xcor, ma anche se non ha mentito su tutto quello che ha detto là dentro? Non sapremo davvero se le sue alleanze sono quelle per un po' di tempo.»

Abalone non intendeva farlo, ma prima di rendersene conto, le sue mani si erano allungate in avanti e avevano stretto il palmo di Wrath. Portò il diamante nero del Re alle labbra e baciò l'anello.

E ancora una volta ringraziò la Vergine Scriba che il maschio giusto fosse sul trono.

«La mia fedeltà è per voi, mio ​​Signore» sospirò. «E per voi solo.»



*    *    *



Una volta che Wrath lasciò non solo la proprietà, ma l'intera provincia a cui faceva capo la villa, giunse il momento di mostrare a Throe il dito medio e giocare agli Hardy Boys (serie di narrativa gialla per ragazzi) con l'indirizzo che il bastardo aveva dato loro.

Rhage era stato l'ultimo a lasciare la biblioteca e, giusto per rompergli il cazzo, si era avvicinato a Throe con una mossa repentina e un Boo! che il figlio di puttana aveva fatto un salto indietro e aveva sollevato le braccia per proteggersi la faccia.

Fighetta.

Fuori sul prato, lui tirò fuori il telefono e mandò un sms: Tutto bene. Wrath e gli altri tutto ok. vado a mettere in sicurezza un locale sospetto. Si fermò. Poi digitò di nuovo, Cosa hai addosso? Stava per mettere in tasca il cellulare quando lui aggrottò la fronte e inviò un secondo messaggio a qualcun altro. Come va? Serve niente?

«Va bene, siamo pronti?» chiese Vishous.

Phury e Z annuirono mentre Rhage intascava il cellulare e faceva scoccare le nocche. «Voglio che i Bastardi siano là. Ho bisogno di un buon corpo a corpo. Devo entrare.»

«Si sente» mormorò qualcuno.

Uno per uno scomparvero e viaggiarono in un miscuglio di molecole, in direzione di un tipo molto diverso di quartiere. Quando ripresero forma, si trovarono all'inizio di un vicolo cieco in una proprietà in pieno sviluppo di case da due o trecentomila dollari che erano probabilmente abitate da persone che sfornavano marmocchi, che sostenevano due lavori impiegatizi al livello più basso della scala aziendale, e che volevano disperatamente promuovere le loro BMW serie 3 a serie 5.

Yuppie in aumento.

Che lo risparmiassero.

Nessuno fece rumore mentre passavano da disarmati a corazzati fino ai denti. L'approccio alla casa in questione avvenne su più fronti, i quattro maschi si divisero e si avvicinarono alla struttura coloniale al buio da ciascuno dei punti cardinali.

Rhage indossò il cappuccio nero in modo che il capelli biondi non fossero un faro nella notte e si posizionò nella parte posteriore dell'angolo sinistro, poi si smaterializzò attraverso i boschi, avvicinandosi mentre si riparava dietro agli alberi. Lasciò spazio ai suoi istinti, sondò quello che avrebbe potuto esserci sotto quel tetto, dietro quelle pareti solide, restando fuori portata di vista dalle finestre scure.

Niente lo informava di qualche presenza. Non c'erano lame di luce. Nessuna ombra si muoveva all'interno. Nessun suono, dentro o fuori il perimetro.

Al controllo incrociato con Z, che lui poteva vedere dal suo occhio sinistro, e Phury, che si trovava alla sua destra, Rhage fece segno verso l'alto... poi si smaterializzò sul tetto.

Le tegole di asfalto davano una buona trazione e lui si accovacciò, ben consapevole di rappresentare un facile obiettivo con la sua sagoma che si stagliava contro il cielo notturno. Non c'era la luna quella notte, il che era un vantaggio, ma era un dannato bersaglio facile lassù. 
Avvicinandosi alla ciminiera, poggiò le spalle alla pila di mattoni e malta e si mise in ascolto.

Ancora nessun rumore.

Quando il fischio arrivò, era da basso, Rhage chiuse gli occhi e si smaterializzò di nuovo a terra.

Z, Vishous e Phury erano in piedi insieme nella parte posteriore.

«Niente lassù» sussurrò Rhage.

«Io non vedo niente dentro» concordò Phury.

V fissò la casa. «Quindi dobbiamo presumere che si tratti di una trappola esplosiva.»

Già. Era esattamente quello che stava pensando lui.

«Non hai nulla con cui disarmare quella merda?» chiese Rhage.

V alzò gli occhi di diamante. «Sono un cazzo di boy scout. Cosa credi?»

«Qual è l'approccio?»

Decisero di entrare attraverso una delle finestre della cucina. Le porte erano troppo ovvie, come lo era il camino, per non parlare del garage.

Fecero il giro e raggiunsero la veranda sul retro, V si tolse il guanto rivestito di piombo, tirò fuori il pugnale nero e raggiunse la finestra sopra il lavandino. Con la punta dell'arma appoggiata al vetro, segnò un cerchio; poi accostò le dita incandescenti all'interno del ritaglio e rimosse la sezione in modo che non cadesse all'interno. Tre. Due.

Uno-

Silenzio.

Rhage si guardò intorno e non sentì nulla: rumore di passi nel sottobosco, lo scatto della sicura tolta a una pistola, un fruscio di abiti.

Niente.

V serpeggiava la mano normale attraverso il buco che aveva fatto e accese la sua torcia. All'interno, una normalissima cucina venne illuminata dal fascio sottile: frigorifero, piano cottura, pensili. Soprattutto, non c'era nulla di sospetto, niente scatole o sacchetti con cavi che fuoriuscivano nel mezzo della camera, nessuna luce intermittente, nemmeno un pannello di allarme in evidenza.

«Pronto?» chiese V.

Rhage fece un profondo respiro, testando l'aria che usciva dalla casa. Il profumi erano di sudore maschile, alcol, tabacco, detergenti per armi... una pizza... carne cotta.

Ed era tutto fresco.

«Entro prima io» esclamò Rhage. Con la sua bestia aveva più probabilità di sopravvivere a una bomba: sbalzi estremi di temperatura, dolore o aggressività, e l'altra parte di sé si sarebbe attivata in una frazione di secondo, fornendogli un insieme di scaglie che era meglio di qualsiasi tipo di giubbotto antiproiettile.

«Stai attento, fratello mio » disse Phury.

«Sempre. Ho ancora tanti pasti da consumare.»

Rhage si smaterializzò e prese forma sul linoleum. Segnale d'attesa. Ancora una volta.

Ma nessun allarme si azionò. Niente imboscate. Nessuno che urlava o che sussurrava di attaccare.

Fece un passo in avanti. Un altro. Un terzo, in attesa di una mina nascosta che venisse innescata.

Sotto i suoi anfibi, i pannelli del pavimento scricchiolavano e gemevano.

Questo era tutto.

«Sei abbastanza lontano, Hollywood» ordinò V attraverso ritaglio della finestra. «Fammi entrare lì dentro.»

Vishous si unì a lui mentre i gemelli rimanevano fuori a monitorare l'esterno. Con mosse rapide dettate dall'abitudine, V indossò una cuffia e si guardò intorno. Tirò fuori un bomboletta spray per l'aerosol e colpì l'ugello, muovendosi in un cerchio.

«È pulito, da quel che riesco a vedere.»

Rhage guardò alla porta sul retro. «Così è lì che si trova il tastierino di sicurezza.»

Il pannello del sistema di allarme non aveva alcuna luce intermittente sul davanti, niente verde significava via libera. Niente rosso significa funzionante.

«Dobbiamo setacciare l'intera casa» mormorò V in tono cupo.

Rhage annuì. «Mi occupo del primo piano.»

«Lo facciamo insieme.»

Con passi attenti, si diressero in la parte anteriore della casa, V indossava gli occhiali sportivi, la pelle di Rhage formicolava sulla schiena come se la bestia si unisse d'istinto alla parata.

Chiaramente la camera anteriore era quella dove i Bastardi avevano trascorso la maggior parte del loro tempo. C'erano diversi divani fissati ad angolo in modo da formare un cerchio, e gli odori lì erano i più forti - al punto che Rhage ipotizzò che i guerrieri avessero tirato le tende e in realtà dormito a terra durante le ore diurne.

Vari rifiuti erano disseminati sul pavimento: scatole vuote di munizioni che suggerivano il possesso sia di fucili a pompa che di calibro 40. Bottiglie vuote di Jack (Daniels) e Jim (Beam). Sacchetti di plastica di Hannaford pieni di involucri accartocciati di barrette proteiche, flaconi di Motrin senza tappo e rotoli di garza chirurgica macchiati da sangue secco. Una scatola aperta di Papa John's (catena di pizzerie in franchising statunitense) in cui era rimasta una sola fetta di pizza - che era fredda, ma non ammuffita.

«Non vivono più qui» esclamò V.

«E se ne sono andati in fretta» mormorò Rhage, infilzando un altro sacchetto col logo Hannaford con la punta d'acciaio del suo anfibio.

Non c'era un solo zaino. Borsone. Un qualsiasi bagaglio. E anche se non avrebbe contato nessun membro della Banda dei Bastardi come qualsiasi tipo da Town & Country ( rivista che mostra tutto il meglio che il mondo ha da offrire) grazie ai loro effetti personali, là non c'era nemmeno un calzino spaiato, degli stivali da combattimento di riserva, o un cazzo di pettine.

Quando Rhage arrivò alla base delle scale, sentì il suo telefono vibrare nella tasca interna della giacca di pelle. Ma non lo controllò. Non aveva intenzione di venire fottuto in quella casa vuota, e più lui e suo fratello si addentravano all'interno, maggiori erano le probabilità che incappassero in qualcosa che avrebbe potuto costare loro un braccio. Una gamba.

Le loro vite.

Questa era la realtà del lavoro che svolgevano, ed era qualcosa che accettava, primo perché non voleva che nessuno maltrattasse la razza o il suo Re, che fosse un gruppo di assassini dal puzzo merdoso o la combriccola di lavande vaginali di Xcor. E secondo, non era che lui sapesse fare qualcos'altro.

Beh, altro oltre a mangiare e scopare, e Dio sapeva quanto lui si occupasse di entrambe le attività molto, molto bene durante il suo tempo libero.

Diavolo, anche con tutta la massima allerta in corso in quel momento, nella parte posteriore della sua mente era già partito il conto alla rovescia delle ore fino a quando non sarebbe tornato dalla sua Mary, che lo aspettava completamente nuda, cazzo.

Notti come questa gli facevano pensare con affetto di poterla baciare laggiù dove tanto la faceva godere per sette ore di fila.

Scuotendosi Rhage si concentrò di nuovo e si avvicinò alla base delle scale.

«Vado su» disse a suo fratello.

«Aspettami.»

Ma, naturalmente, non lo fece. Si limitò a salire, un piede dopo l'altro, e un altro ancora. Probabilmente era una mossa stupida, ma lui non era mai stato bravo ad attendere.

Non faceva parte della sua natura.




mercoledì 22 luglio 2015

Festa dell'Unicorno 2015



Salve a tutti!


Eh... lo so, attendevate tutti il nuovo capitolo di The Shadows della Zietta, mi spiace ma causa MERAVIGLIOSA partenza, non ho potuto accontentarvi. Prometto di rifarmi la prossima settimana prima di chiudere il blog per le vacanze estive.

Intanto, per chi volesse partecipare oppure si trovasse già a venire tra il 24/25/26 luglio in quel di Vinci (FI), vorrei ricordare che io mi trovo lì, in Via Matteotti allo Stand MT604, per scambiarci un saluto. 

Per cominciare vi invito all'evento su facebook a cui potrete aderire, oppure solo sbirciare, QUI.
Troverete 4 diversi Autori: Rei Angle, Claudia Tonin, Giulia Borgato e infine me, Christiana V.

Se vi va di conoscerci meglio, divertirci insieme e cazzeggiare un po', vi aspettiamo a braccia aperte!

Con affetto

Christiana V

giovedì 16 luglio 2015

Ecco la nuova cover!


Genteeeeeee...

è arrivato l'arrotinooooo!

Beh, credo che "La Bestia" sia più che sufficiente, ma come potevamo farcela scappare???
Direttamente dalla pagina della Zietta Ward, ecco a voi la cover di "The Beast", che uscirà in aprile 2016.

Io già fremo, e voi???

mercoledì 15 luglio 2015

Capitolo 15 di THE SHADOWS di J.R. Ward



Capitolo 15




«No, la tengo io, grazie.»

Nel rispondere, Trez fece un sorriso a Ehlena perché non voleva che l'infermiera si offendesse mentre la allontanava. Ma la verità era che lui era ben più che pronto a portare Selena fuori dalla sala visite. Voleva portarla fuori dal centro di addestramento. Via... da qualche parte, in qualsiasi altro posto.

Anche se quel momento era ancora lontano. Appena due ore prima il suo battito si era spento, le avevano scaricato nel torace un miliardo di watt di energia elettrica, e in qualche modo lei era riuscita a ritornare dal baratro grazie a lui e a tutta la trafila del  trasformarsi in una coperta vivente, soffiandole la vita nell'anima.

Oh, beh, era solo un altro giorno.

O era notte?

Chi cazzo lo sapeva.

«Sei pronto?» gli chiese Selena.

Era una roba tipo paesaggio da fiaba quando lei lo guardò negli occhi e lui annuì con la testa. Non avrebbe mai creduto possibile una ripresa - o il fatto che il corpo di lei si fosse piegato nel modo corretto mentre lui la sosteneva sotto le ginocchia e per le spalle.

«Sarò... delicato.» Quando la sua voce si incrinò, si sarebbe preso a calci in culo da solo. «Sarò gentile e mi muoverò lentamente.»

Lei annuì di nuovo e rimase a bocca aperta quando Trez la sollevò dal lettino visite e la allontanò dal fascio di luce della lampada scialitica, che era stata abbassata vicino al suo corpo.

«Da che parte?» chiese di nuovo lui, anche se gli era già stato detto due volte.

Ehlena, che era incaricata di tenere la flebo, li condusse a una porta. «Di qua.»

In fondo, la sala di terapia intensiva non conteneva nulla che lui desiderasse per la sua femmina. Il letto era come quello di un ospedale, con grandi sponde di contenzione su entrambi i lati, le coperte erano sottili, le lenzuola semplici e bianche. C'era un'asta a cui agganciare la flebo e un sacco di apparecchiature di monitoraggio. I cuscini sembravano duri.

D'altronde, lui avrebbe voluto posarla su un letto di piume fatto a mano e perfino quello sarebbe stato inadeguato.

Selena rabbrividì mentre lui la metteva giù con attenzione. E poi, quando Trez cercò di sfilarle le coperte da sotto il corpo, lei chiuse gli occhi e scosse la testa.

«Solo un minuto?» gemette Selena, come se tutto le dolesse.

«Già. Sicuro. Naturalmente.»

Eeeee ora lui non aveva niente da fare. Guardandosi intorno, adocchiò una sedia e immaginò il proprio culo lì sopra, così non le sarebbe stato troppo addosso.

Mentre si sedeva, ed Ehlena li lasciava soli alla ricerca di un minuscolo momento di pace, lui pensò, Merda, Selena era così immobile. Ma almeno le sue articolazioni avevano un’angolazione quasi normale, respirava da sola ed era cosciente.

Era ancora molto pallida, però. Il viso aveva quasi il colore delle lenzuola. E anche se i suoi capelli erano stati pettinati, c'erano ancora dei nodi nella capigliatura scura.

«Mi... dispiace...»

«Che cosa?» esclamò lui, sporgendosi in avanti. «Cosa hai detto?»

«Mi dispiace...»

«Per cosa? Gesù, come se ti fossi offerta volontaria per questo!»

Quando lei iniziò a piangere, lui abbandonò la sedia, si avvicinò al letto e le si inginocchiò accanto. Raggiungendola, abbassò la sponda e prese la mano che era più vicina a lui.

«Selena, non piangere.» C'era una scatola di Kleenex sul comodino di fianco al letto e lui mollò la presa per tirarne fuori uno e asciugarle le guance. «Oh, no, non scusarti. Non puoi scusarti per una cosa simile.»

La sua respirazione era irregolare. «Io non volevo che tu lo sapessi. Non volevo che ti... preoccupassi.»

«Vorrei che me lo avessi detto.»

«Non si può fare nulla.»

Okay, questa era proprio una coltellata tra le fottute costole. «Non lo sappiamo. Manny sta per consultarsi con alcuni dei suoi colleghi umani. Forse-»

«Ti amo.»

Le sue parole lo colpirono come uno schiaffo in pieno viso e Trez tossì, rimase a bocca aperta, farfugliò e ansimò allo stesso tempo. Grande risposta. Davvero virile, cazzo - il che gli ricordava, assurdamente, di quel distorsore vocale in Ferris Bueller (serie TV americana) mentre lo stronzetto era al telefono con i suoi compagni di classe.

Quale diavolo era il suo problema? La femmina di cui era innamorato, quella che voleva più di ogni altra cosa al mondo, gli aveva detto le Tre Paroline Magiche... e lui si era trasformato in un gigantesco ammasso di funzioni fisiche.

Davvero romantico.

Beh, almeno non si era sciolto nei suoi Levi's.

«Io...» balbettò.

Prima che potesse aggiungere altro, lei gli strinse la mano e scosse la testa avanti e indietro sul cuscino. «Non devi dirmelo anche tu. Volevo solo che tu lo sapessi. Per me è importante... che tu lo sappia. Non c'è tempo-»

«Non dire così.» La sua voce si fece stridula. «Ho bisogno che tu non lo dica mai più. C'è tempo. C'è sempre tempo-»

«No

Dio, i suoi occhi azzurri erano antichi mentre lo fissava. Anche nel suo viso perfettamente scolpito, che irradiava bellezza nonostante la condizione, quel suo sguardo esausto la faceva sembrare vecchia.

Era tutto così ingiusto. Selena in quel letto, lui in ginocchio - e nessuna possibilità di poter condividere con lei la salute che lui aveva in abbondanza. Certo, quando era in arresto cardiaco Trez era stato in grado di riportarla indietro, ma lui non voleva semplicemente trascinarla via dal baratro. Voleva curarla.

Voleva... avere degli anni da trascorrere con lei.

Eppure, proprio mentre il pensiero lo colpiva, si rese conto che non sarebbe mai accaduto: anche se il destino di lei fosse cambiato, il suo non lo avrebbe fatto.

«Ti amo...» mormorò Selena.

Per un attimo, fu lui a sentirsi sull'orlo del precipizio, il cuore e l'anima vacillanti e in procinto di sprofondare nelle sue parole, nei suoi occhi, in tutto ciò che la rendeva femmina, misteriosa e meravigliosa... ma poi si disse che era quasi morta, al massimo era a malapena cosciente, e probabilmente non aveva idea di quello che gli stava dicendo.

Inoltre la dottoressa Jane aveva annunciato che lui le aveva salvato la vita. Il che poteva essere vero o meno - ma, data la tragedia, la gratitudine poteva far provare a chiunque qualcosa che non avrebbe sentito normalmente.

O forse alimentava le fiamme dell'affetto trasformandolo in un'emozione improvvisa molto più forte.

«Non devi dirlo anche tu» sussurrò lei. «Ma avevo bisogno che tu lo sapessi.»

«Selena, io-»

Alzò l'altra mano, con il palmo in avanti. «Non c'è bisogno di andare oltre.»

Il silenzio rimbombò ma solo nella stanza. Nella sua scatola cranica? Il suo cervello era un cavo ad alta  tensione sottoposto a spasmi, tutti i tipi di pensieri e immagini gli scorticavano la coscienza come se la sua materia grigia fosse diventata una scimmia che lanciava escrementi per tutta la gabbia.

Concentrandosi di nuovo su lei, disse a se stesso darsi una mossa e provare ad aiutarla.

«Ti andrebbe di nutrirti?» Sollevò la mano libera, mostrandole il polso. «Per favore?»

Quando lei annuì fu un immenso sollievo, lui si morse la carne con le proprie zanne prima che distendere il braccio fino a portare la vena alla bocca di Selena. In un primo momento lei si attaccò a malapena, bevendo a piccoli sorsi. Col tempo, però, assunse il controllo succhiando da lui, prendendo quello che aveva da darle dal profondo.

Gli venne duro.

Non poteva evitarlo. Ma non era desiderio sessuale. Era troppo distratto dalla preoccupazione per lei, mentre si domandava se, da un momento all'altro, il suo corpo cedesse di nuovo.

Selena era stabile, aveva detto la dottoressa Jane. Lei era stabile come chiunque poteva esserlo dopo centoventi minuti di totale collasso molecolare. Almeno la seconda serie di raggi X aveva qualcosa di miracoloso. Mentre nei primi c'erano ossa in quelle che dovevano essere le parti mobili delle sue articolazioni. Ora, sia secondo la dottoressa Jane che Manny, le cose erano più "anatomicamente appropriate."

Nessuno sapeva dove quella robaccia fosse andata a finire. O perché fosse sparita. Oppure, quando sarebbe tornata. Quello che sapevano di sicuro era che dove non c'era stato più alcun movimento, adesso c'era.

Dopo un bel po', le labbra di Selena si rilassarono e le palpebre si socchiusero. Ritraendo il braccio, lui si leccò le ferite chiudendo i fori, addossò l'avambraccio sul materasso e vi appoggiò il mento sopra.

«Come hai fatto a trovarmi?» chiese lei con voce assonnata. «Sono caduta quando ero al Santuario...»

«Qualcuno è venuto a prendermi.»

«Chi...?»

La Vergine Scriba, pensò lui mentre lei russava lievemente.

«Selena?»

«Sì?». Lei provò a scuotersi, sollevò la testa e costrinse gli occhi ad aprirsi. «Sì...?»

«Voglio che tu sappia una cosa.»

«Prego.»

«Non importa cosa accadrà, io non ti lascerò. Se mi vuoi con te, non importa... come andrà a finire, io resterò al tuo fianco. Se vuoi che io ci sia, allora ci sarò.»

Selena lasciò scivolare lo sguardo sul suo volto. «Tu non sai di cosa stai parlando-»

«Col cavolo che non lo so.»

«Sto morendo.»

«Anch'io, ma non so quando accadrà, e nemmeno tu.»

Nei suoi occhi luminosi brillò una complessa emozione. «Trez. Ho visto le mie sorelle vivere la malattia. Lo so cosa-»

«Tu non sai un cazzo. Con il dovuto rispetto.»

Trez si alzò e andò ai piedi del letto. Sfilò lenzuola e coperte dal materasso, guardò sotto ai suoi piedi.

«Cosa stai facendo?»

Con una mano gentile, lui inclinò una delle sue caviglie in modo da poter guardare la pianta del piede. «Non c'è.»

«Scusami?»

«Non vedo alcun timbro con la data di scadenza qui sotto.» Fece lo stesso con l'altro piede. «Neanche qui.»

Rimise le coperte a posto. Le rimboccò. Fissò il corpo di lei - e cercò di sfuggire al fatto che la sua carne che lui bramava con ogni probabilità poteva essere quello che li avrebbe separati per sempre.

Poi si ricordò della notizia iAm che gli aveva dato nel corridoio.

Merda, come se non avesse abbastanza rogne di suo.

«Io non ti lascerò» le promise.

«Non volevo parlarti di tutto questo.» I suoi occhi si inumidirono, le lacrime trasformarono quelle iridi azzurre in pietre preziose. «Non volevo che tu lo sapessi e mi compatissi.»

«Non ti compatisco.»

«Non fare questo a te stesso, Trez. Solo... sappi solo che ti amo e lasciami andare.»

Lui tornò da Selena. «Posso avere la tua mano?»

Quando lei si girò rigidamente sul letto e allungò il braccio, lui le prese il palmo e se lo mise tra le gambe, sulla dura erezione che premeva contro la patta. Il contatto lo fece sibilare, le zanne discesero in fretta, ruotò il bacino.

«Questo ti sembra pietà?» disse lui a denti stretti.

Cazzo, lui dovette fare un passo indietro. Aveva fatto quel gesto esplicito solo per dimostrarle il suo punto di vista, invece si ritrovò pronto a venire, il suo corpo che passava da zero a sessanta in un nano secondo.

«Trez...»

«Non sto dicendo che dobbiamo fare sesso. Per niente. Ma non sono qui perché ti compatisco, okay?»

«Io non posso chiederti di restare.»

«Tu no. Io posso scegliere di farlo. Io posso scegliere... te.»

Mentre diceva quelle parole, si rese conto che, porca puttana... era vero. Per una volta nella sua vita, si sentiva come se stesse scegliendo qualcosa - e in un modo strano, ma bello. Anche se la situazione era davvero una roba triste, si sentiva liberato del tutto, Questa è la mia scelta.

Questa… situazione... era qualcosa che avrebbe avuto la priorità su tutto per quanto fosse durata, dovunque li avrebbe condotti.

Supponendo che Selena lo volesse con lei.

Nel silenzio che seguì, lui si guardò intorno, vide le pareti nude e seppe di doverla portare fuori da quella stanza d'ospedale. Certo, si trovava vicino al personale medico qualora avesse avuto problemi, ma ti metteva in uno stato d'animo da schifo, era un deprimente Tu Sei Malato.

Trez si concentrò di nuovo su di lei. «Qualunque cosa ti serva, io sono qui per te, va bene? Se mi vuoi.»

Dopo un momento, lei gracchiò: «Ti voglio».

«Va bene, allora.» Trez lasciò andare un respiro veloce, poi alzò l'indice. «Solo una cosa. Nessuna data di scadenza, d’accordo? Affronteremo questa cosa come se tu potessi vivere per sempre.»

L'incredulità si dipinse sul viso di Selena, ma lui si limitò a scuotere la testa. «No. Questa è la mia regola numero uno.»

Trez non era stupido. Aveva ascoltato quello che quello che l'altra Eletta aveva detto guardando i raggi X e osservando la posizione del corpo. Lui sentiva dentro di sé che stava per perderla e che, molto probabilmente, sarebbe successo presto. Ma lui che regalo poteva farle? La cosa più importante - diamine, forse l'unica cosa - che lui poteva donarle?

La speranza.

E lui non aveva bisogno di credere che lei dovesse essere curata per sentirla, per condividerla o per viverla.
Essere presente. Amarla fino alla fine. Non lasciare mai il suo fianco fino all'ultimo respiro.

Era così che l'avrebbe onorata con il suo cuore e la sua anima, anche se lui non ne era degno.

«Nessuna data di scadenza» esclamò lui. «Viviamo ogni notte come se ne avessimo ancora un migliaio da vivere.»




*    *    *




Selena batté le palpebre allontanando altre lacrime. Sotto molti aspetti, non poteva credere che Trez si trovasse ai piedi del suo letto d'ospedale, che scrutasse nella sua anima con l'unico intento che solo la sua volontà riuscisse a tenerla in vita e in buona salute per tutto il tempo che lui desiderava.

«Non credo che abbiamo un migliaio di notti, Trez» gli disse.

«Come lo sai? Ne sei sicura?»

«No, ma-»

«E allora perché sprecare anche solo un attimo del tempo a nostra disposizione nel pensarla in quel modo? Cosa ce ne entrerebbe? Scherzi a parte, come posso aiutarti a-»

«Vuoi venire a letto con me?»

Lui si schiarì la gola. «Sei sicura?»

«Sì. Ti prego.»

Lei ammirò l'agilità con cui lui si mosse, mentre si issava sull'alto materasso, si spostò all'altro lato, aiutandola a fare un po' di spazio per lui. E come se lui le leggesse nella mente, se la sistemò tra le braccia così che la sua testa si appoggiasse al suo torace.

Sospiri. Esausti.

Da parte di entrambi.

«Mi sento sollevata» sentì se stessa dire. «Volevo che lo sapessi, ma...»

«Shh. Hai bisogno di dormire.»

«Sì.»

Chiudendo gli occhi, lei poteva percepirlo in una dimensione differente ora, il suo sangue si faceva strada dentro lei e nel suo sistema, rafforzandola dopo l'episodio. Nella sua mente, lei calcolò con esattezza quando si era verificato l'ultimo arresto. Tredici notti prima. Quello precedente? Sedici.

Ma forse, se non avesse più offerto la sua vena a nessuno, avrebbe avuto più di una tregua. E forse la forza che lui le aveva appena donato attraverso il suo sangue l’avrebbe aiutata a combattere anche tutte le successive crisi.

«Mi sono allontanata» gli disse, «a causa di tutto questo. Non a causa tua. Non mi importa del tuo passato. Voglio solo che tu lo sappia.»

Trez cominciò a strofinarle la schiena, facendo cerchi con il suo grosso palmo. «Shh. Prova solo a riposare.»

Selena sollevò la testa. «Questo devi lasciatemelo dire. Devi ascoltarlo e devi crederci. So che tu volevi tenermi fuori dalla tua vita perché pensavi che io... ti giudicassi o qualcosa del genere. Ma io mi sono allontanata a causa di tutto questo, non perché sei stato con un sacco di... umane. E neanche a causa del tuo fidanzamento.»

Trez chiuse gli occhi e fece una smorfia. Poi scosse la testa. «Devo essere onesto con te. L'ultima cosa a cui voglio pensare adesso è-»

«Io non credo che tu sia impuro, Trez.»

«Ti prego. Smettila.»

Gli prese la mano e la strinse, cercando di mettersi in contatto con lui, sentendo il desiderio di dirgli tutto in una volta, di mettere le carte in tavola. La sua teoria sull’avere migliaia di notti a disposizione era un buon intento per la sua salute mentale - e lui era giunto alla sua stessa conclusione: non c'era una data o un tempo di scadenza su di lei. Ma lei aveva vissuto in questa realtà dal primo episodio che era avvenuto molti decenni prima, e il suo percorso per la sopravvivenza era come quello di un'auto che andava fuori strada e scivolava in un fosso.

Non c'era possibilità di sopravvivenza a questo.

«Devo dirtelo, Trez. Ho aspettato davvero tanto prima di parlarne con te. Non voglio perdere la mia opportunità.»

Vagamente, Selena si accorse che stava parlando con più enfasi, sentendosi di più se stessa, recuperando sempre più grazie al dono della sua vena.

«Tu sei un uomo di valore, e credo di essermi innamorata di te la prima volta-»

Trez schizzò fuori dal letto e, per un istante, lei pensò che stesse per andarsene via, uscire dalla porta e allontanarsi da lei e dalla sua stupida malattia. E per un momento, lui si fermò davanti all'uscita.

Ma poi cominciò a camminare in tondo per la stanza.

«Perché per te è così difficile da accettare?» chiese Selena ad alta voce. «Che sei un brav'uomo. Che vali-»

«Selena, non sai di cosa stai parlando.»

«Ti stai aggirando in questa stanza come sei fossi braccato. Quindi sono abbastanza sicura di saperne qualcosa.»

Trez si fermò e scosse la testa. «Guarda, questo riguarda te. Questo...» Lui agitò la mano avanti e indietro tra di loro. «Tutto questo riguarda te. Io sono qui per te e per le tue esigenze, qualunque esse siano. Noi faremo in modo di tenermi fuori da questo, va bene?»

Selena si spinse più in alto sul cuscino. Lo sforzo sui suoi gomiti e sulle sue spalle le fece stringere i denti e dovette riprendere fiato come se il dolore si prendesse con calma il suo tempo per dissolversi.

Ma era meglio che essere rigida e paralizzata.

Quando lui strinse gli occhi della preoccupazione, lei gli disse: «No, non ho bisogno della dottoressa Jane. Davvero».

Mentre lui si strofinava la faccia, lei lo guardò attentamente per la prima volta. Aveva perso un po' di peso negli ultimi tempi, le guance erano talmente scavate che la mascella appariva ancora più pronunciata, gli occhi più infossati nelle orbite, le labbra apparivano più piene. Eppure anche così, era un enorme maschio della specie, con le spalle tre volte più grandi delle sue, il petto e l'addome scolpiti, le fasce di muscoli che scendevano sulle braccia e sulle gambe.

Era bellissimo. Dalla sua pelle scura agli occhi neri, dalla sommità della testa rasata alle suole dei suoi stivali.

«Sei davvero un maschio di valore» mormorò lei. «E dovrai accettarlo.»

«Oh, davvero» fu la sua replica ironica. «Non sono così sicuro di-»

«Smettila.»

Trez la fissò e poi aggrottò la fronte. «Sai, io non sono sicuro del perché stai ancora parlando di questo argomento. Senza offesa, ma tu sei quasi morta in quell'altra stanza. Tipo, quanto tempo fa? Mi sembra dieci minuti. La mia merda non è importante adesso.»

Selena guardò il proprio corpo. Indossava un camice da ospedale azzurro con un disegno a spirali blu. Era legato sulla schiena e sentiva i nodi che le mordevano i punti in cui avrebbe dovuto esserci il suo reggiseno se avesse indossato uno, e più in basso, uno piccolo in fondo alla schiena.

Le sembrava strano pensare che le cose nel suo corpo funzionassero con una relativa normalità adesso. E la realtà che loro non sarebbero riusciti a mantenere questa funzionalità per molto, portò una straordinaria nitidezza.

«Sai» mormorò lei, «non ho mai considerato il fatto che ci potrebbe essere un aspetto positivo nel soffrire di una malattia mortale.»

«E quale sarebbe?» chiese cupo Trez.

Lei spostò lo sguardo verso di lui. «Non ti spaventa dire le cose come sono realmente. L'onestà può essere terrificante, a meno che tu non abbia qualcosa di più spaventoso contro cui misurarti — come la prospettiva di morire. Quindi ti dirò precisamente perché io penso che la tua 'merda', come la chiami tu, è importante. Qualunque cosa ti guidi, qualunque cosa lo stia causando» - lei fece un cenno circolare che comprendeva tutto il corpo di Trez - «o che abbia causato quel vuoto dentro di te? Penso che tu abbia usato tutte quelle donne per sfuggire a quello. Penso che ti sia scopato quelle umane per tutti quegli anni come distrazione e il fatto che tu non voglia riconoscerlo? Mi preoccupa che tu potresti usarmi come una distrazione ancora più grande, il modo migliore per evitare te stesso. Cosa potrebbe esserci di più seducente o efficace, se tu non vuole affrontare i tuoi problemi, di una certa femmina affetta da una malattia mortale?»

«Gesù Cristo, Selena, non la penso così. Affatto-»


«Beh, forse dovresti.» Lei inclinò la testa, un'altra conclusione la colpi come una tonnellata di mattoni. «E ti dirò un'altra verità. Se avessi a disposizione un migliaio di notti o solo due? Voglio viverle con te - ma solo in modo onesto. Non voglio essere la tua nuova scusa, Trez. Ti voglio qui, ti voglio con me, ma ho bisogno che questa cosa che c'è tra noi sia reale. Non ho l'energia o il tempo per qualcosa di meno.»

Nel lungo silenzio che seguì, lei aspettò la sua risposta. Ma non importava quanto le cose fossero diventate imbarazzanti, lei non avrebbe ritrattato una singola parola.

Aveva detto esattamente quello che aveva in mente.


In realtà, fu davvero liberatorio.