mercoledì 8 luglio 2015

Capitolo 14 di THE SHADOWS di J.R. Ward



Capitolo 14



Layla si sentiva oppressa mentre guidava con un piede sull'acceleratore ed entrambe le mani sul volante della sua Mercedes azzurra. Qhuinn le aveva comprato la E350 4matic, qualunque cosa significasse, circa tre mesi prima. Lui avrebbe voluto qualcosa di più vistoso, di più grande e più veloce ma, alla fine, la piccola berlina era stata quella con cui lei si era trovata più suo agio. E aveva scelto quel colore perché le ricordava la vasche da bagno su al Santuario.

La campagna alla periferia di Caldwell si estendeva su colline e valli, lei amava quei graziosi campi ondulati pieni di mais nei mesi di luglio e agosto, che venivano falciati come la barba di un maschio nei mesi di inattività. Lei conosceva ogni particolare del paesaggio con il cuore, il percorso che conduceva a quel  determinato pendio, a quel particolare campo, a quell'albero adesso così importante.

Quando arrivò alla base della collina bassa, spense le luci e lasciò che l'auto scivolasse fino a fermarsi. Non si sentiva mai bene nel venire qui, ma dopo aver visto lo stato in cui Selena si trovava ed essere conscia di ciò che significava, il suo cuore era ancora più pesante del solito.
Si issò, uscendo da dietro al volante, poggiò le mani in basso sulla schiena e si inarcò sporgendo il petto in fuori, cercando di rilassare i muscoli che sembravano perennemente contratti -

«Sei in anticipo.»

Con un sussulto, Layla si voltò.

Xcor era in piedi a pochi metri di distanza dal paraurti posteriore dell'auto e lei capì subito che qualcosa non andava in lui. Non che il suo volto duro fosse diverso in qualche modo; dal labbro leporino che faceva apparire un ringhio perenne sulla bocca, agli occhi furbi e la mascella scolpita. Tutte le caratteristiche erano le stesse di sempre. Non aveva cambiato il taglio di capelli, come sempre rasati. Neanche il lungo spolverino di pelle nera, oppure gli stivali da combattimento, o tutte le armi che lei sapeva avere addosso, ma che aveva sempre cura di nascondere alla sua vista.

Non era in grado di individuare esattamente quale fosse l'indizio. Ma il suo istinto non mentiva e non si era mai sbagliato.

«Sei indisposto?» chiese lei.

«E tu?»

Layla appoggiò una mano sulla pancia. «No, sto bene.»

«Cos'è successo ieri sera? Perché non sei venuta?»

Un'immagine di Qhuinn che andava avanti e indietro nella sala da biliardo mentre lei e Blay si sedevano sul divano le balenò alla mente. E poi vide loro tre starsene in disparte giù nella sala visite del centro di addestramento mentre visitavano Selena e infine veniva data la brutta notizia.

«Ho avuto un'emergenza familiare» disse lei. «Beh, due, in realtà.»

«Di che tipo?»

«Nulla che ti riguardi.»

«Non c'è molto di te che non mi riguardi.»

Alzando lo sguardo verso l'albero sotto il quale di solito si sedevano, Layla rabbrividì. «Io-»

«Hai freddo. Entriamo in macchina.»

Nel suo solito modo, Xcor prese il comando, le aprì la portiera e si fece da parte, in un ordine silenzioso. Per un attimo, lei esitò. Nonostante il nobile impulso di assicurarsi che il Re e i Fratelli fossero in salvo, lei sapeva nel suo profondo che nessuno di loro avrebbe mai approvato questi incontri, queste parole, questo tempo trascorso con il nemico giurato della Confraternita.

Colui che aveva tramato per la morte di Wrath non una, ma due volte.

Starsene seduta con Xcor proprio nell'auto che Qhuinn aveva comprato per lei con tutto il suo affetto era una violazione di tutti i rapporti che per lei valevano di più.
Solo che stava proteggendo quelli che lei amava, ricordò a se stessa.

«Entra» le disse Xcor.

E lei entrò.

Una volta chiusa la portiera, Xcor fece il giro dell'auto fino al lato del passeggero, batté le nocche sul finestrino e lei sbloccò la chiusura centralizzata. A quel punto lei riflette sul falso mito che gli umani attribuivano ai vampiri, in cui si supponeva che i non morti dovessero essere invitati a entrare per poter attraversare una soglia.

Quanto era lontano dalla realtà.

Il corpo da guerriero di Xcor occupò tutto lo spazio nell'abitacolo mentre si accomodava su un sedile che era troppo grande per lei, sebbene fosse incinta. Layla fece un respiro profondo per ricomporsi, odiava il fatto che le piacesse il suo odore - ma le piaceva comunque. In realtà, si era sempre preso la briga di ripulirsi per bene ogni volta che si erano incontrati, la pelle profumata di una colonia speziata che lei voleva trovare a tutti i costi sgradevole.

Tutto questo era molto più accettabile se fosse rimasta concentrata sul fatto che lei veniva costretta all'adiacenza, al contatto, a questa vicinanza.

Perché trovarsi lì con lui su libero arbitrio...

Dio, perché doveva sentirsi così stasera-

«Metti in moto» disse lui. «Per favore.»

«Cosa?» Il suo cuore cominciò a battere forte. «Perché-»

«Qui non è più sicuro. Dobbiamo incontrarci da un'altra parte.»

«Perché?» La realtà di quanto poco sapesse e si fidasse di lui le fece capire esattamente quanto fossero lontani. «Che cosa è cambiato?»

Lui la guardò. «Per favore. È per la tua sicurezza. Non ti farei mai del male - dovresti saperlo - e per questo ti dico che qui non è più sicuro per noi.»

Lei sostenne il suo sguardo per un lungo momento. «Dove andiamo?»

«Ho messo in sicurezza un altro posto. Dirigiti a ovest. Per favore.»

Quando lei non si mosse, Xcor mise una mano sulle sue e le strinse. «Qui non siamo al sicuro.»

Mentre lasciava la presa, i suoi occhi non lasciarono mai quelli di lei. E un attimo dopo, Layla si fissò sul panorama mentre si allungava in avanti e premeva il pulsante di avviamento per accendere il motore. «Va bene.»

Non appena l'auto partì, nell'abitacolo si sentì un persistente suono ripetitivo. «È la tua cintura di sicurezza» spiegò lei. «Devi metterla.»

Lui eseguì senza alcun commento, tese completamente la cintura e la passò sul petto massiccio, quindi inserì l'attacco nella chiusura.

«Quanto dista?» chiese lei, mentre un nuovo picco di paura le faceva accelerare di nuovo il battito.

«Poco più di quindici chilometri.»

Xcor abbassò appena il finestrino e respirò come se stesse cercando di individuare un profumo nell'aria. «È un posto sicuro.»

«Mi stai sequestrando?»

Lui indietreggiò. «No. Sei, come sempre, libera di andare e venire.»

«Va bene.»

Lei sperava che stesse dicendo la verità. Pregava che fosse sincero. E non che si facesse luce sul gioco fatale che lei stava giocando.

Questa storia doveva finire, pensò lei. C'era in corso una guerra contro i lesser. Lui era un traditore del Re.
Lei era sempre più incinta. Il problema era che non sapeva come districare le corde che li tenevano legati insieme.


*    *    *



Rhage fu l'ultimo dei Fratelli a materializzarsi sul prato di una villa che sembrava uscita fuori da una rivista per i ricconi appartenenti all' 1% della popolazione. Quando alzò lo sguardo verso l'immensa casa vicina, udì la voce del narratore esterno dal vecchio telefilm di Batman che diceva: «Nel frattempo, alla maestosa tenuta Wayne...».

Il palazzo in stile Tudor si affacciava su prati ben curati ed era di una bellezza tale da poter fraternizzare con niente meno che la Casa Bianca, le luci accese l'interno risplendevano di uno sfarzoso giallo tenue come se ci fossero delle coperture in oro massiccio su tutte le lampade. Con rapida efficienza, un maggiordomo poteva essere visto di fronte alla fila di finestre con vetri a diamante con indosso la divisa formale, qualcosa che avrebbe messo Fritz.

Probabilmente si servivano dallo stesso sarto.

«Siamo pronti per Sua Altezza Reale?» chiese ironicamente V.

Ci fu un borbottio di conferma tra loro cinque, e poi Vishous scomparve nel nulla. Il piano era che lui raggiungesse Butch nella nuovissima Range Rover dello sbirro, che era parcheggiata circa sei chilometri a est in cui c'era il Re, che si lamentava di tutte le misure di sicurezza dal sedile anteriore. Loro due avrebbero portato Wrath lì - dando al gruppo una serie di modi per allontanare il maschio se andava tutto a puttane.
Rhage odiava il fatto che lo stavano portando lì per incontrare Throe, ma Wrath aveva rifiutato di inviare un emissario, e cosa avrebbero dovuto fare? Legarlo a una cazzo sedia in modo che non potesse venirci da solo?

«A titolo informativo...» Rhage sfoderò uno dei suoi pugnali neri. «Non garantisco che non farò a fettine questo figlio di puttana.»

«Te lo tengo giù io» rimarcò qualcuno.

Un vento freddo soffiava da nord, spargendo foglie cadute sui suoi anfibi e Rhage lanciò un'occhiata oltre la spalla. Nulla si muoveva alla sua sinistra. Non c'era nessuno tra i cespugli. Nessun cattivo odore permeava l'aria.

Ma si sentiva dannatamente sospettoso.

Beh, ovvio. Tutto ciò che aveva a che fare con la Banda dei Bastardi era più o meno come una serata casalinga sul divano a fingere di guardare davvero Scandal.
Oppure RHONJ, se Lassiter aveva tra le mani quel cazzo di telecomando.

Dieci minuti più tardi, la Range Rover svoltò l'angolo e affrontò la salita, i fari che lampeggiavano sulla facciata della casa e su loro.

Butch guidò in cerchio davanti al palazzo in modo che il SUV fosse di fronte alla via di fuga, e poi Wrath aprì la portiera ed emerse dal sedile del passeggero. Con i suoi stivali, il maschio svettava dal tetto del veicolo e, a differenza del resto di loro, non indossava alcun cappotto o una giacca.

Una semplice camicia nera. Sotto la quale c'era il giubbotto antiproiettile obbligatorio.

Almeno erano riusciti a fargli indossare quello.

Grazie, Beth.

Rhage si mise in formazione con gli altri, facendo da scudo a Wrath con i loro corpi mentre si spostavano in avanti. Nello stesso istante in cui raggiunsero la porta di casa, Abalone la spalancò come se fosse stato alla finestra a controllare il prato in attesa del loro arrivo.

«Mio Signore. Confraternita. Benvenuti nella mia dimora.»

Quando il Primo Consigliere si inchinò profondamente, Rhage dovette ammettere di apprezzare il tizio. Applebottom (Culetto Tondo/Chiappa Soda, non so come lo tradurranno), come lo chiamavano loro, era uno dei pochi aristocratici in cui Rhage fosse incappato che non solo possedeva metà cervello, ma un cuore integro, sotto un atteggiamento da dandy.

«Se volete seguirmi...» esclamò il tizio, indicando con la mano.

Parte dell'accordo preliminare era che l'incontro sarebbe avvenuto in biblioteca e una delle finestre sarebbe stata accostata, nel caso in cui Wrath avesse dovuto smaterializzarsi fuori. Throe, che avrebbe atteso in una sala separata, sarebbe stato accompagnato dentro da un Fratello, e scortato fuori da un altro.

E c'erano anche un altro paio di clausole.

Una volta dentro la stanza tappezzata di libri, Rhage fece una rapida, ma esauriente, ispezione della chiusura della finestra e disse: «Fatemi andare a prendere lo stronzo».

«Ne sei sicuro?» chiese V.

«Non ho intenzione di mangiarlo... ancora.»

Troncò qualsiasi obiezione dirigendosi verso Abalone, che gironzolava nel foyer. Sembrava impegnato in una discussione introspettiva in cui doveva decidere se vomitare sulle proprie scarpe oppure provare a raggiungere il bagno prima di lasciarsi andare.

«Allora, dov'è il tuo cugino?» Rhage offrì al tizio un sorriso rassicurante. Come se lui stesse solo per imballare il bastardo e nulla più. «Laggiù?»

Abalone fece un cenno verso la porta chiusa di fronte. «Sì. È nel salone maschile.»

Rhage mise una mano sulla spalla del Primo Consigliere. «Non ti preoccupare, Applebottom. Sarà un gioco da ragazzi.»

Sentì il povero figlio di puttana tirare un sospiro di sollievo. «Sì, mio Signore. Grazie.»

Dopo un altro giro veloce di va bene così, Rhage scivolò attraverso la porta del salotto e la chiuse dietro di sé. Throe era in piedi dall'altra parte della stanza dalle pareti rivestite, sembrava il tipico maschio illustre che una volta si trovava nel Vecchio Continente - nonostante il fatto che i abiti fossero moderni.

«Rhage?» domandò il maschio, facendosi avanti.

«Già.»

Throe ebbe la possibilità di porgere la mano per una stretta - e quello fu tutto. Rhage gli afferrò il polso, lo fece ruotare come una ballerina e gli spinse la faccia contro la parete più vicina.

«Cosa stai-»

«Ti perquisisco, stronzo.» Okay, forse "prendere a pugni" era più accurato. «Allarga le gambe.»

«Mi stai facendo male-»

«Se trovo una qualsiasi arma, la uso su di te. Sono stato chiaro?» 

«C'è proprio bisogno di essere così-»

«Voltati.» Rhage strattonò il tizio per la cintura, lo girò come una trottola e lo inchiodò alla parete di fronte con il viso rivolto verso di lui. «No, su la testa.»

Afferrò il mento di Throe con la mano e lo costrinse a sollevare il magnifico volto. Dopo aver effettuato una mammografia a quel petto sorprendentemente massiccio, Rhage scese in basso a suon di schiaffi e strizzò così forte i gioielli di Throe da fargli cantare un Do di petto.

«Chiedo scusa!»

«Non c'è niente là. Non è una visita a sorpresa.»

Scese lungo le cosce. I polpacci. Tornò di nuovo all'altezza degli occhi.

«Ecco le regole. Se provi a fare un gesto verso il mio Re in un qualsiasi modo che non mi piace, sarai morto prima che di toccare il pavimento. Ci siamo capiti?»

«Sono venuto qui in pace. Ho chiuso con i combattimenti-»

«Abbiamo un accordo? Se soltanto provi a starnutire su di lui, se provi a stringergli la mano, o a guardare due volte i suoi cazzo di stivali, ti metto l'etichetta di riconoscimento all'alluce.»

«Sei sempre così eccessivo?»

«Così sono calmo, freddo e controllato, puttanella. Non ti andrebbe di vedermi incazzato.»

Rhage spinse il tizio verso la porta, l'aprì e strinse una mano sul collo di Throe.

«Posso camminare da solo» biascicò il maschio.

«Davvero? Ne sei sicuro?»

Rhage cambiò la presa, schiacciò il palmo contro la faccia del maschio, riducendo il viso di Throe a un ammasso di occhi, naso e bocca.

«Va meglio così? No? Eh, immagino che sia una gran rottura di coglioni.»

Volutamente sbilanciò Throe, si divertì a fargli eseguire gli esercizi giornalieri di Fred Astaire mentre il ragazzo superava Abalone a passo di tiptap ed entrava in biblioteca.

«Oh, siamo già a questo punto» borbottò V mentre si accendeva una sigaretta rollata a mano.

«Almeno non c'è salsa barbecue in giro» rimarcò lo sbirro.

«Non ancora» sospirò V. «La notte è ancora giovane.»

Rhage si schiarì la gola. «Mio Signore e sovrano, Wrath, figlio di Wrath, padre del figlio diletto Wrath, ti presento Throe, il Pezzo di Merda.»

Su quell'affermazione, diede al maschio una forte spinta verso il tappeto orientale, e sai cosa? Con il culo per aria il figlio di puttana si ritrovò al posto che gli competeva.


Ai piedi dell'unico vero Re.

2 commenti:

  1. ciao grazie come sempre non vedo l'ora di leggere il seguito hai qualche novità sulla pubblicazione del libro tvb alla prossima settimana

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  2. Grazie per lo splendido capitolo! Susanna

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