giovedì 29 maggio 2014

Recensione di Indigo di Anita Borriello



TITOLO: INDIGO



AUTORE: 
ANITA BORRIELLO








Recensione

Eh ragazze/i,

qui si parla di una Sorella di Sogno, della capo progetto dell'antologia Elements Tales, Anita Borriello. Ma non è questo che sto per mostrarvi. In questa recensione vi parlerò del secondo episodio della serie Brûlant.

Per chi non lo sapesse, le Brûlant sono delle spiritualiste e nel primo volume della saga la nostra autrice ci ha accompagnato un passo dopo l'altro nel mondo dell'esoterismo in maniera molto delicata, spiegando dei concetti complessi con grande semplicità.

Poiché le spiritualiste vivono a stretto contatto con il mondo che le circonda, sono in sintonia con la natura, con le stagioni e anche con gli elementi. La nostra autrice ha stabilito che questa saga sarà una quadrilogia proprio perché si ispirerà ai quattro elementi. 

Nel primo episodio  il protagonista è il fuoco e troviamo riferimento a esso anche nel nome della congrega, infatti Brûlant significa Ardente.

Per chi volesse saperne di più su questo volume iniziale ed esplicativo, può leggere la mia recensione QUI.




E ora parliamo di Indigo, secondo volume della saga, inspirato all'aria. Brûlant, essendo la prima parte di un progetto, necessitava di essere maggiormente descrittivo, qui invece si comincia subito con l'azione.

Come di consueto, non ho intenzione di spoilerare nulla, ma posso dirvi che non c'è stato solo un ulteriore miglioramento della scrittura e dello stile della Borriello. Con Indigo non si entra soltanto nel vivo della storia che fa da cardine alla saga, finalmente si legge di "urban fantasy".

Non fatevi fuorviare dal soggetto esoterico, che non è altro che quello, un soggetto. In Indigo la nostra Anita Borriello, attraverso la sua abile penna, ci delizia con un testo profondo, a tratti ironico e visivo oltre ogni dire.

I personaggi si muovono proprio come in un film, sempre coerenti col progetto iniziale e non si pestano mai i piedi l'uno con l'altro. La trama articolata è ben sviluppata, non tralascia nulla e non tedia con un linguaggio pesante o astruso.

E che dire delle ambientazioni? Anita mi ha raccontato dei suoi sopralluoghi a Orvieto, al magico Pozzo di San Patrizio, e a Sintra, alla tenuta Quinta da Regaleira. Con lei ho viaggiato in quei posti e me li ha "mostrati" non me li ha raccontati.

Ho atteso un po' per scrivere questa recensione, perché Indigo è uno di quei libri che, una volta terminato, vai a spulciare di nuovo e scopri sempre qualcosa che alla prima lettura ti era sfuggito.



Grazie alla nostra amicizia, che va al di là del web e si trasferisce nel mondo reale, sono stata completamente affascinata da Anita, dal suo entusiasmo sempre pacato ma ricco di sfumature che fanno intendere quanto lei sia speciale come le sue eroine: una vera e propria Brûlant.

VOTO:



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mercoledì 28 maggio 2014

Capitolo 8 di THE KING di J.R.Ward



The King

8


Più tardi quel mattino, un montante si abbatté sul volto di Wrath dal lato sinistro, e anche se un sibilo ne aveva tracciato la traiettoria nell'aria, non riuscì a rispondere in tempo. Le nocche lo colpirono dritto alla mandibola, lo schianto risuonò nella sua zuccaccia, la testa scattò all'indietro, il sangue schizzò fuori dalla sua bocca.

Era assolutamente fantastico.

Dopo un'altra regale sessione da incubo con Saxton - dalle sette alle dieci ore rubate alla sua vita che nessuno gli avrebbe più restituito - era salito negli appartamenti privati che divideva con Beth. Aveva solo il sesso in mente, l'unico sfogo che avrebbe salvato il pianeta dal suo umore di merda.

La sua compagna non era solo addormentata, era proprio in coma.

Era stato più o meno un'ora a fissare il soffitto prima di contattare Payne e dirle di incontrarlo nella palestra del centro di addestramento.

Come diceva sempre Rhage, con il sesso o con la lotta potevi scaricare gli eccessi. Il sesso era fuori discussione, quindi eccolo lì.

Imbrigliando l'energia dell'impatto, prese lo slancio e lo convogliò in un calcio che massacrò il fianco dell'avversaria, sbilanciandola e facendola barcollare. Eppure la sorella di V non andò al tappeto. Il suo atterraggio fu leggero e veloce come quello di un gatto e Wrath sapeva che aveva in serbo qualcosa per lui.

Triangolando gli spostamenti d'aria, il profumo della guerriera e il rumore sempre più forte dei suoi piedi nudi mentre gli si avvicinava, sapeva che gli stava di fronte ed era accovacciata. Raccogliendo le forze, spinse il peso del corpo sulle cosce e gli piaceva da morire la sensazione d'irrobustimento dei muscoli che si preparavano per difendere i suoi centoventitre chili di peso in posizione retta. Stringendo i gomiti contro i fianchi, aspettò che Payne arrivasse nel suo raggio d'azione e lanciò un pugno in fuori. Coi suoi riflessi e il vantaggio della vista, la femmina schivò l'attacco frontale e si abbassò per poi rialzarsi, agguantandolo alla vita.

Payne non colpiva come una ragazza, sia che lo facesse a suon di pugni o calci o con l'intero corpo. Somigliava più a un SUV, e anche se le sue palle avrebbero preferito diversamente, lo agganciò alla vita.

Con un'imprecazione, si spinse all'indietro con la schiena piatta e il culo oltre i gomiti da vero bastardo. Tuttavia, non sarebbe andata in quel modo.

E quello si rivelò un problema.

Mentre cadeva nell'aria spessa, si ricordò delle scie del letto aveva lasciato sul pavimento nel loft - e il suo pulsante interno si attivò. Si palesò una cruda aggressività - in un istante, quello non era più allenamento oppure il conservare le proprie abilità o semplicemente fare esercizio. L'istinto di guerra si liberò tra lui e la sua compagna d'allenamento.

Con un ringhiò che rimbombò nella palestra, catturò le braccia di Payne in una stretta punitiva  e invertì la sua posizione, se la strappò da dosso e la sbatté faccia a terra contro i materassini.

Era una femmina massiccia, letale e con una massa muscolare scolpita - ma non c'era confronto con la sua forza e la sua taglia - specialmente mentre le stava addosso a cavalcioni e le stringeva un braccio attorno al collo. Con la gola di Payne stretta nella curva del suo gomito, assicurò la presa della mano libera sul polso spesso dell'altra e si spinse all'indietro per effettuare una choke hold.

Lesser. Nemici. Morti tragiche che avevano cambiato il corso della sua vita - o quella di altri.

Distanza dalla sua compagna. Frustrazione sessuale. Sospetto che Beth gli stesse nascondendo qualcosa. 

Insoddisfazione cronica che si tramutava in fretta in un carico d'ansia che non lo lasciava mai.

Paura. Non accettata, sepolta in profondità e velenosa.

Odio verso se stesso.

Contro il fondo oscuro della sua cecità, tutto divenne bianco, la rabbia subentrò quando non trovò più spazio dove infiltrarsi. E l'effetto fu quello di donargli un potere ancora più grande di quello che i suoi muscoli e le ossa avevano già. Anche con le unghie di Payne conficcate nel braccio e lei che lottava come se stesse per morire, non sentì nulla.
Voleva uccidere. E stava per -

"Wrath!"

Al pari della difesa di Payne, chiunque stesse urlando il suo nome non gli interessava. Era focalizzato sul suo percorso di morte, tutta la percezione di ciò che stava accadendo persa a causa -

Arrivò qualcun'altro e iniziò a inveirgli contro mentre tutta la situazione dell'urlare diventava più forte.

Sotto di lui, Payne era sopraffatta, l'istinto di combattere lasciava lentamente il suo corpo, quella immobilità eterna era proprio ciò che la rabbia dentro di lui bramava. Ancora un po' e sarebbe finita. Un'ulteriore pressione. Solo un poco -
Un forte rumore ripetitivo arrivò proprio davanti alla sua faccia. Continuo, senza fermarsi, come una grancassa, i tempi spaziati alla perfezione. L'unica cosa che cambiava era il volume.

Si incrementava.

O forse stava penetrando gradualmente attraverso la sua furia.

Wrath aggrottò la fronte quando il frastuono continuò. Alzando la testa, si fermò, corrugandola ancora di più per un lungo momento.

George.

Il suo amato, docile golden retriever era proprio di fronte al suo viso, il suo abbaiare forte quanto i colpi di fucile, fermo nel pretendere che Wrath si fermasse e desistesse proprio in quell'istante.

All'improvviso, la realtà di ciò che stava facendo l'investì.
Cosa cazzo non funzionava in lui?

Wrath mollò la presa, ma non ebbe la possibilità di liberarsi. Qualcuno lo prese per le spalle e lo trascinò lontano dalla guerriera.

Quando atterrò di schiena contro il tappeto, sentì i conati e il pensante ansimare della sua avversaria mischiati alle imprecazioni di chiunque altro si trovasse con loro - insieme al lieve singhiozzare.

"A cosa cazzo stavi pensando?" Ora c'era qualcun'altro davanti alla sua faccia. "L'hai quasi ammazzata!"

Portando le mani alla testa, un sudore gelido ricoprì ogni centimetro della sua pelle. "Non lo sapevo..." sentì dire alla sua stessa voce. "Non avevo idea -"

"Credevi potesse respirare in quel modo?" Era la dottoressa Jane. Naturalmente - si trovava alla clinica e doveva aver sentito abbaiare oppure...

E iAm era con loro. Percepiva l'Ombra anche se come al solito non parlava.

"Mi dispiace - Payne... scusami."

Oddio, cosa aveva fatto?

Aborriva la violenza contro le femmine. Il problema era che, quando si allenava con Payne, non pensava alla sorella di V come a una di loro. Era un avversario, niente di più, niente di meno - e aveva subìto lividi e un paio di ossa rotte a dimostrare che quando era il suo turno, non mostrava pietà né elargiva concessioni.

"Merda. Payne..." Wrath allungò una mano, annusando tanto i resti della sua paura quanto l'odore di morte incombente. "Payne -"

"Sto bene," disse la femmina con voce roca. "Sul serio."

La dottoressa Jane borbottò una sfilza di improperi.

"Questo riguarda lui e me," ordinò Payne a sua cognata. "Non è un tuo -"

Quando Payne ricominciò a tossire, Jane sbottò, "Visto che ti ha quasi strangolata, col cavolo che non è un mio problema!"

"Stava per lasciarmi andare -"

"E allora perché sei diventata cianotica?"

"Stavo -"

"Il braccio gli sanguina sul tappetino. Vuoi dirmi che non sono state le tue unghie a trafiggerlo?"

Payne prese un respiro. "È un combattimento, non Go Fish!"

La dottoressa Jane abbassò la voce. "Tuo fratello sa con esattezza fino a che punto si sta spingendo questa storia?"

Quando Wrath aggiunse le proprie imprecazioni alla macedonia di parole che cominciavano per F, Payne ringhiò, "Non dirai nulla di tutto questo a Vishous -"

"Dammi una maledetta ragione sul perché non dovrei farlo e forse potrei pensarci. Altrimenti, nessuno è in grado dirmi cosa posso o non posso dire al mio dannato marito. Né tu né lui -"

Wrath era sicuro che stesse guardando nella sua direzione.

" - e di certo mai riguardo a un fottuto problema di sicurezza nei confronti di un membro della sua famiglia!"

Il silenzio che seguì era intriso da un'aggressività crescente. E poi Payne abbaiò, "Quante ossa hai sistemato al Re? Quanti punti di sutura gli hai dato? La scorsa settimana credevi che gli avessi dislocato la spalla - e non ti sei sentita in dovere di correre dalla sua shellan a riferirglielo. Vero? Vero?"

"Questa è un'altra storia."

"Perché sono una femmina? Scusami - forse dovresti guardarmi negli occhi mentre applichi due pesi e due misure, Doc?"

Cristo, era come se l'umore di Wrath avesse infettato tutti loro. Inoltre era stato lui a far cominciare tutto quello. Cazzo...

Massaggiandosi il viso, le ascoltò andare avanti e indietro. "Lei ha ragione."

Quella frase fermò entrambe.

"Non mi sarei fermato." Wrath si alzò in piedi. "Per cui parlerò con V e non ci alleneremo mai più -"

"Non osare," sputò fuori la guerriera prima di ricominciare a tossire. Non appena si riprese, gli si mise di fronte. "Non osare mancarmi di rispetto, cazzo - Vengo qui a combattere con te per esercitare le mie abilità. Se ti avvantaggi delle mie debolezze, è colpa mia, non tua."

"Quindi tu credi solo che fossi severo con te?" chiese cupamente.

"Naturalmente. E non mi ero ancora arresa battendo le dita -"

"Hai pensato solo per un secondo di comunicarmelo?"

Un fiotto di paura caricò le molecole attorno alla femmina.

"Ed ecco perché non lo faremo mai più." Wrath si voltò verso la dottoressa Jane. "Ma anche lei ha ragione. Non sono affari tuoi, quindi stanne fuori."

"Col cavolo che -"

"Non è una richiesta, Jane. È un ordine. E andrò a parlare con V non appena mi sarò fatto una doccia."

"Siete proprio un coglione, lo sapete questo? Vostra Altezza!"

"E un assassino. Non dimenticarlo."

Si diresse verso l'uscita senza preoccuparsi di prendere la cavezza di George. Quando uscì di traiettoria, il cane corresse il suo passo spingendolo affinché trovasse l'uscita.

"Spogliatoio," grugnì quando entrarono nel corridoio.

George, che aveva familiarità sia con la parola che col rituale post allenamento, lo aiutò a scendere nella hall, le zampe che picchiavano sul pavimento liscio.

Grazie a Dio il centro di addestramento era una città fantasma quel giorno. L'ultima cosa che voleva era imbattersi in qualcuno.

Coi Fratelli a riposo, l'immenso complesso sotterraneo era vuoto, dalla palestra alle sale macchine, dal poligono alle classi, dalla piscina olimpionica all'ufficio che fungeva per qualunque cosa - oltre che da sale operatorie e stanze di recupero per la dottoressa Jane e per Manny.

Eppure Payne era quasi diventata una paziente.

Merda.

Facendo scorrere la mano lungo il muro, si fermò quando incontrò un accesso incassato. "Mi aspetti qui?" chiese a George.

Dal tintinnio del collare e il lieve tha-bump, il cane decise di attendere che terminasse la doccia, cosa piuttosto solita - non era un grande fan del caldo e dell'umidità a causa del lungo pelo.

Entrando dentro, Wrath si orientò bene. Grazie all'acustica e alle piastrelle, era semplice muoversi basandosi sul suono - e l'abitudine. Inoltre, gli spazi in cui aveva trascorso molto tempo in passato quando possedeva ancora quel poco di vista gli consentivano muoversi più facilmente.

Cazzo. Se quel cane non l'avesse fermato?

Wrath si lasciò andare contro le pareti scivolose, lasciando ciondolare la testa. Gesù Cristo.

Massaggiandosi la faccia, il cervello gli giocava brutti scherzi riproponendogli immagini del seguito che avrebbe potuto esserci.

Il gemito che gli riempì la gola suonò come una sirena da nebbia. La sorella di suo fratello. Una guerriera che rispettava. Rovinata.

Doveva tutto a quel cane. Come al solito.

Togliendosi di dosso la canotta sudata, la lasciò cadere sul pavimento mentre si toglieva i pantaloncini di nylon. Aiutandosi nuovamente con la mano, camminò avanti e capì di essere entrato nella doccia a causa del pavimento sdrucciolevole. Le manopole dei rubinetti erano allineate su tre lati e lui si concentrò su di esse, sentendo l'umido scarico circolare sotto i piedi nudi.

Scegliendone uno a caso, aprì l'acqua preparandosi al getto freddo che lo colpì in faccia.

Dio, quella sorgente di rabbia. Aveva un'intensità familiare - ma non voleva che si ripresentasse nella sua vita. Quell'empio bruciore che l'aveva sostenuto in tutti quegli anni da quando i suoi genitori erano morti a quando aveva conosciuto e sposato Beth. Aveva davvero creduto che fosse scomparso.

"Cazzo," sputò tra i denti.

Chiudendo gli occhi, mise le mani sul doccione e lasciò scorrere l'acqua lungo le braccia. Il suo umore di merda gli faceva sentire come se all'interno della testa vorticassero le pale di un elicottero - e mancavano solo altre due rotazioni brevi affinché gliela staccassero dal corpo.

Dannazione...

Non ci aveva mai pensato prima, ma la "follia" era un concetto ampiamente ipotetico riguardo all'essere sano; un'offesa da sbattere in faccia a qualcuno che non si rispettava; un descrittore applicato a un comportamento inappropriato.

Fermo nella doccia, realizzò che la vera follia non aveva nulla a che vedere con la paranoia, o con un calo delle prestazioni, o una perdita di memoria per poi distruggere una stanza d'albergo prima di svenire. Non era l'impazzire oppure il rapinare una banca o lo sfogarsi su un oggetto inanimato.

Era l'annullamento del mondo attorno a te, un addio alle sensazioni e alla coscienza che era come la manipolazione di una videocamera - tutta la tua merda interna veniva esaminata al microscopio e tutto il resto, la tua compagna, il tuo lavoro, la tua comunità, la tua salute e il benessere, non solo non erano a portata di mano... ma erano fuori dalla tua esistenza.

E la parte più spaventosa? Questo nel mezzo in cui si sta con un piede nella realtà e l'altro nel tuo personale purgatorio - e riesci a percepire il passato scivolare via -

Dal nulla, l'equilibrio di Wrath andò fuori controllo, l'intero mondo s'inclinò sul suo asse al punto che non era sicuro se sarebbe caduto all'indietro oppure no.

Poi, però, senti una lama affilata proprio sotto il suo mento, e capì che qualcuno gli stava tirando i capelli.


"Da adesso in avanti," disse il sibilo all'orecchio, "Siamo a conoscenza di due cose. Ma solo una di esse è un cambiamento rivoluzionario."

venerdì 23 maggio 2014



Gentili amiche/i,

il momento tanto atteso è giunto! 
Finalmente la mia nuova creatura è riuscita a vedere la luce, l'erotico/paranormal romance Blood Catcher.
Dopo averlo presentato giorni fa, credevo ci volesse più tempo affinché uscisse e invece, eccolo qui.

Spero di fare cosa gradita a chi mi segue e a cui piacciono le mie storie.
Come sempre grazie di cuore a tutti. Senza di voi, nulla sarebbe bello com'è.
Christiana V


Intanto vi lascio il link per l'acquisto, anche se lo trovate in pagina cliccando sulla cover.

http://www.amazon.it/Blood-Catcher-Christiana-V-ebook/dp/B00KI0ICN4/ref=pd_ecc_rvi_1

Giusto per farvi un'idea, eccovi il booktrailer




mercoledì 21 maggio 2014

Capitolo 7 di THE KING di J. R. Ward


The King

7

Assail uccise il quarto umano un istante dopo aver contato il numero tre.

E che la Vergine Scriba l'aiutasse, stava morendo dalla voglia di far fuori l'ultimo del trio a essere arrivato con tanta sollecitudine. Voleva piazzargli un proiettile nell'addome e vederlo contorcersi e soffrire sul vialetto d'accesso. Voleva controllare il moribondo e respirare l'odore di sangue fresco e di dolore. Infine voleva prendere a calci il cadavere quando tutto sarebbe finito. Forse anche dargli fuoco.

Ma Ehric aveva ragione. Chi avrebbero interrogato, poi?
"Tenetelo," ordinò, indicando con un cenno l'ultimo maschio umano.

Il fratello di Ehric fu più che felice di imporsi, avvicinandosi di un passo e passando un braccio attorno al collo spesso. Con uno strattone violento, fece piegare l'uomo all'indietro.

Assail si avvicinò alla sua preda, aspirando una boccata di fumo e la soffiò in faccia alla guardia del corpo. 

"Gradirei avere accesso a quel garage." Si diresse verso la dépendance, pensando che potessero tenere lì Sola. "E tu farai in modo che sia possibile. Sia che tu fornisca la chiave o che i miei soci usino la tua testa come un ariete."

"Non so dove sia! E che cazzo! Fanculo!" O qualcosa che suonava allo stesso modo. Le parole erano strozzate.

Che linguaggio sboccato. Inoltre, visto il profilo del sopracciglio del Cro-Magnon a forma di crinale, si poteva presumere che parlava davvero poco in termini di più importanti argomentazioni.

Fu facile ignorare tutto quel mormorio.

"Ora, ci fornirai una chiave, un telecomando... oppure un pezzo del tuo corpo?"

"Non lo so!"

Beh, ho io la risposta, pensò Assail.

Rigirandosi il sigaro tra le dita, fissò la punta incandescente per un momento. Poi l'avvicinò a pochi centimetri dalla guancia dell'uomo.

Assail sorrise. "È un bene che il mio socio ti tenga stretto. Un movimento sbagliato e..."

Premette la punta infuocata sulla pelle dell'uomo. Immediatamente, un urlo risuonò nella notte, facendo sobbalzare gli animali che albergavano nel sottosuolo, e facendo fischiare le orecchie di Assail fino a che non sentì dolore.

Assail ritirò il sigaro. "Proviamo con un'altra risposta? Vuoi usare una chiave? O qualcos'altro?"

La risposta soffocata fu tanto incomprensibile quanto l'odore della carne bruciata era chiaro. "Più ossigeno," mormorò Assail a suo cugino. "Così può comunicare, grazie."

Quando il fratello di Ehric allentò la presa, la risposta dell'uomo gli esplose dalla bocca. "Telecomando. Parasole. Lato passeggero."

"Aiuta quest'uomo a recuperarlo per me, ti spiace?"

Il fratello di Ehric fu gentile quanto un martello che batte sulla testa di un chiodo, trascinò il suo prigioniero senza alcun riguardo fino all'auto - in effetti, sembrava che usasse il corpo dell'uomo per testare l'integrità strutturale del cofano e del blocco motore.

Ma l'uomo prese il telecomando e lo porse con mano tremante - e Assail sapeva come farne un buon uso. Aveva grande familiarità con le trappole esplosive ed era molto meglio che non fosse lui a innescarle.
"Faglielo fare al posto mio, ti spiace?"

Il gemello di Ehric spinse l'uomo verso il garage, tenendo la pistola a pochi millimetri dalla sua testa. Incespicò e cadde diverse volte, ma passi falsi a parte, la guardia del corpo riuscì ad arrivare alla portata dell'ingresso.

Le mani dell'uomo tremavano talmente tanto che ci vollero diversi tentativi prima di premere il bottone giusto, ma due delle quattro porte si alzarono abbastanza in fretta. E sai cosa? I fanali di quella berlina illuminavano proprio l'interno.

Niente. Soltanto una Bentley Flying Spur da un lato e una Rolls-Royce Ghost dall'altro.

Imprecando, Assail entrò nell'edificio. Senza alcun dubbio, aveva innescato qualche allarme silenzioso, ma non gliene importava nulla. La prima ondata di cavalleria era già arrivata. Ci sarebbe voluto un po' prima che arrivasse una seconda squadra.

La costruzione aveva due piani, e visti i pannelli termici delle finestre e la proporzione inadeguata al periodo storico, si poteva presumere che l'edificio era stato costruito in quel secolo. E avviandosi verso la piattaforma sulla sinistra, non fu sorpreso di trovare un ambiente senza macchie, dal pavimento in cemento color grigio chiaro, i muri levigati come stucco della Sheetrock e bianchi come carta. Non c'erano apparecchiature per la cura del prato, nessun tagliaerba, o sarchiatori, oppure rastrelli. Di sicuro si serviva di una squadra esterna per questo tipo di cose, non avrebbe voluto che qualche attrezzatura sporca e puzzolente stesse attorno alle sue bimbe su quattro ruote.

Muovendosi in fretta in direzione dei fari dell'auto, la suola degli stivali segnalò i suoi passi, i suoni rimbombavano ovunque. Non sembrava esserci una livello inferiore. E al piano di sopra, c'era solo un piccolo ufficio che veniva usato per immagazzinare le gomme a ogni cambio stagionale, coperture di cassoni del pick-up, e altre attrezzature automobilistiche.

Tornando al piano terra, Assail uscì in fretta dal garage. Avvicinandosi alla guardia del corpo, sentì la discesa delle zanne nella bocca e le mani tremare, avvertì un ronzio nella testa che gli fece pensare alle auto rombanti in autostrada. "Dov'è lei?"

"Dove... è... chi...?"

"Dammi il tuo coltello, Ehric." Quando il cugino sguainò la lama lunga diciotto centimetri, Assail sistemò la pistola nella fondina. "Grazie."

Prendendo il coltello dal cugino, Assail lo puntò alla gola dell'uomo e si avvicinò così tanto da annusare la paura che usciva da tutti i pori e sentire il calore del respiro venir fuori da quella bocca.

Ovviamente, stava ponendo la domanda sbagliata. "In quale altro posto Benloise tiene i prigionieri?" Prima che l'uomo potesse rispondere, s'intromise. "Ti consiglio di stare attento alla tua risposta. Se mentissi, lo saprei. Le menzogne hanno una puzza particolare."

Gli occhi dell'uomo balzarono da un lato all'altro come se stesse stimando le sue possibilità di sopravvivenza. "Non lo so non lo so non lo -"

Assail affondò il coltello fino a intaccare la superficie della pelle e il sangue rosso scorse sulla lama. "Non è la risposta giusta, amico mio. Ora dimmi, dove altro tengono la gente?"

"Non lo so! Lo giuro! Lo giuro!"

Andò avanti per un po' di tempo e, purtroppo, non sentì alcun odore di ostruzione.

"Dannazione," mormorò Assail.

Con un gesto lampo, mise a tacere quel balbettio - e il quinto inutile umano cadde a terra.

Voltandosi, guardò la casa. Contro lo sfondo angolare del tetto e le ciminiere, oltre gli alberi scheletrici e ancora più in là... un gentile chiarore cominciò ad apparire nel cielo a est.

Un messaggero di sventura.

"Dobbiamo proprio andare," disse Ehric a bassa voce. "Quando scenderà di nuovo la sera, riprenderemo la ricerca della tua femmina."

Assail non si preoccupò di correggere la scelta di parole del cugino. Era troppo distratto dal tremore che, dalle sue mani, avanzava diffondendosi in tutto il corpo fino a che anche i muscoli delle cosce si contrassero.

Gli ci volle un momento per stabilirne la causa, e quando lo fece, la maggior parte di lui rifiutò la definizione.

Ma il nocciolo della questione era che... per la prima volta nella sua vita adulta, aveva paura.

*    *    *

"Dove cazzo è questo posto? Nel fottuto Canada?"

Dietro il volante della Crown Vic, Two Tone era pronto a spararsi in bocca se quella lagna fosse continuata. Il viaggio di cinque ore nel bel mezzo della notte era stato abbastanza pesante, ma quello spreco di pelle che era di fianco a lui sul sedile del passeggero?

Se avesse voluto fare al mondo un favore, avrebbe puntato la pistola in quella direzione, non nella propria.
Sarebbe stata una grande soddisfazione far fuori quella cazzo di spia, ma nell'organizzazione, il ruolo di supervisore gli permetteva di arrivare fin lì - e il diritto di spedire quel bastardo chiacchierone in una bara non gli era concesso.

"Voglio dire, dove cazzo siamo?"

Two Tone strinse i molari. "Ci siamo quasi."

Come se il figlio di puttana avesse cinque anni e stessero per arrivare a casa della nonna? Gesù Cristo.

Mentre si addentrava in aperta campagna, i fari della berlina catturarono l'immediata distanza dinanzi a loro, si spinsero tra le file di pini e alle due corsie che s'incurvavano attorno alla base della montagna nella notte. Tuttavia stava per sorgere l'alba, un riverbero color pesca apparve a est.

Grande fottutissima notizia. Presto, non tardi, avrebbero finalmente lasciato la strada, si sarebbero occupati della merce e di godere di un po' di dannato riposo.

Strizzando gli occhi, si allungò verso il volante. Aveva la sensazione che stessero per arrivare al bivio...

Dopo quasi un chilometro, una strada sconnessa non segnalata apparve a destra.

Non aveva alcun motivo per azionare gli indicatori di direzione - o di rallentare. Diede un colpo ai freni e sterzò all'improvviso, il carico nel bagagliaio sbatté contro le pareti.

Se stava dormendo, ora era di sicuro sveglia. La salita era ripida e li rallentò ulteriormente. Dicembre aveva portato un carico merdoso di neve che era già caduta lì  al nord.

Era stato in quella proprietà una volta soltanto prima di allora - e sempre per la stessa ragione. Il Capo non era qualcuno da fare incazzare, e se ti capitava di riuscirci, ti avrebbe fatto portare là dove nessuno ti avrebbe mai trovato.

Non aveva idea di cosa avesse fatto quella donna per offenderlo, ma non era un suo problema. Il suo lavoro era di prenderla, farla sparire - e tenerla lì fino a ulteriori istruzioni.

Eppure se lo chiedeva. L'ultimo stronzo che aveva spedito in quel posto sperduto aveva sottratto cinquecentomila dollari e dodici chili di cocaina. Che cazzo aveva combinato lei? E merda, sperava di non dover restare lassù tutto il tempo che era rimasto per il lavoro precedente.

Aveva subito anche una ferita alla cuffia dei rotatori per gentile concessione di quel compito.

Al capo non piaceva torturare personalmente. Preferiva stare a guardare.

Difficile che sostenesse l'esame generale come lavoratore dello Stato di New York del per la merda che aveva fatto al ragazzo.

Ma, a ogni modo, a Two Tone non importava quella parte del lavoro. Lui non era come certi tizi, che c'erano dentro, e per niente come il grande uomo, a cui non piaceva assolutamente sporcarsi le mani. Nah, lui era giusto nel mezzo, abbastanza soddisfatto di occuparsi della merda per cui veniva pagato.

"Tra quanto ancora -"

"Un altro quarto di miglio."

"Fa un cazzo di freddo quassù."

Farà ancora più freddo quando sarai morto, brutto figlio di puttana.

Il Capo aveva ingaggiato questo stronzo all'incirca sei mesi prima e Two Tone lo aveva affiancato un paio di volte. Continuava a sperare che quello stronzo di un idiota venisse licenziato alla vecchia maniera, ma fino ad allora, non aveva avuto fortuna.

Il bastardo sarebbe stato un eccellente morto annegato nel fiume Hudson.

O in una fossa. A proposito di quello, non si chiamava Phil?

Quando si parla d'ispirazione.

Dopo un'ultima curva della strada, l'obbiettivo irrilevante era in vista: il solitario "capanno di caccia" perfettamente inserito nel panorama, l'edificio basso e allungato che si nascondeva nel mezzo del sottobosco ricoperto di neve e i sempreverdi soffici. In effetti, l'esterno era stato deliberatamente costruito per apparire dimesso. All'interno, invece, era una fortezza con un sacco di fottuti segreti oscuri.

E quello che si trovava nel bagagliaio stava per aggiungersi al resto.

Non aveva mai sentito che una femmina fosse stata portata là. E se fosse stata affascinante? Impossibile da capire quando avevano trasportato quel peso morto fuori da quella casa.

Forse si sarebbe potuto divertire per passare il tempo.

"Che cazzo è questo posto? Sembra un cesso schifoso. C'è il riscaldamento?"

Two Tone chiuse le palpebre e si lasciò travolgere da un numero imprecisato di fantasie che includevano i bagni di sangue. Poi aprì la portiera e si alzò, stirandosi i muscoli doloranti. Cavolo, doveva pisciare.

Avviandosi verso la porta, mormorò, "Tirala fuori dal bagagliaio, ti spiace?"

Non doveva preoccuparsi di nessuna chiave. Si apriva con l'impronta digitale.

Mentre proseguiva, dovette usare una torcia per arrivare alla pseudo entrata decrepita. Era a circa metà strada dal raggiungere la meta quando si voltò perché qualche istinto lo pungolò a farlo.

"Stai attento quando lo apri," urlò.

"Sì. Come ti pare." Phil girò attorno all'auto e si mise davanti al bagagliaio. "Che cazzo potrebbe farmi?"

Two Tone scosse la testa e mormorò, "Il tuo funerale. Se siamo fortunati -"

Nell'attimo in cui il cofano si aprì, si scatenò l'inferno. La loro prigioniera balzò fuori come se avesse le molle sotto al culo - e aveva trovato un'arma. Il bagliore rosso del razzo brillava nell'oscurità, illuminando quell'ammasso del cazzo mentre seppelliva la punta luminosa proprio in faccia alla scorta idiota di Two Tone.

L'ululato di dolore di Phil fece sobbalzare un gufo della taglia di un ragazzino di dieci anni sull'albero vicino a Two Tone e lui fu costretto a gettarsi a terra oppure avrebbe perso la propria testa.

Poi però dovette rialzarsi in piedi.

Quella donna cominciò a correre a rotta di collo - provando, come quel razzo di merda non era riuscito a fare, che a differenza di Phil non era una cretina.

"Figlia di puttana!" Two Tone la inseguì, seguendo i rumori di strappi e strattoni mentre usciva fuori strada. Spostando la torcia nella mano sinistra, tirò fuori la pistola.

Non doveva andare così. Neanche lontanamente.

La puttana era velocissima, e mentre la seguiva con difficoltà, sapeva che stava per seminarlo - e l'ultima chiamata che voleva fare al suo Capo era, "Ehi, ho perso il tuo progetto.

Andava a finire che il prossimo ospite del "capanno" sarebbe stato lui.

Spararle era la sua unica possibilità.

Fermandosi di colpo, si aggrappò a una betulla, sollevò la canna della pistola e iniziò a scaricare colpi, gli spari echeggiavano nell'alba nascente.

Ci fu un'imprecazione in tono acuto - e il rumore della corsa cessò. E al suo posto? Un fruscio intenso come se lei si stesse contorcendo.

"Fottuto Angelo," ansimò correndo in avanti.

Se fosse stata una ferita mortale, sarebbe stato fregato allo stesso modo che se fosse fuggita.

La luce della torcia girò intorno al panorama mentre si avvicinava, illuminando tronchi e rami, il sottobosco, il terreno ricoperto di neve.

Ed eccola là. A faccia in giù tra gli aghi di pino, si teneva un ginocchio al petto. Ma lui non ci sarebbe cascato. Solo Dio sapeva quale altro asso nascondeva nella manica.

"Alzati o ti sparo di nuovo." Mise un caricatore carico dal basso della pistola. " Ho detto in piedi, cazzo."

Lamenti. Dondolii.

Tirò il grilletto ed esplose un colpo nel terreno di fianco alla sua testa. "Alzati o il prossimo ti attraverserà il cranio."

La donna si alzò. Detriti pendevano dagli abiti neri e dal parka, e i capelli scuri erano ingarbugliati. Non gli interessava classificarla sulla sua cazzo di scala.

Prima di ogni altra cosa doveva portarla nel luogo protetto.

"Mani in alto," ordinò, spostando l'arma al centro del suo petto. "Cammina."

Zoppicava parecchio e riusciva a sentire l'odore del sangue stando alle sue spalle. Non avrebbe più tentato alcuno scatto.

Ci misero quattro volte il tempo che ci avrebbero messo senza ferita ad arrivare all'auto, e quando arrivarono, trovarono Phil ancora a terra che non si muoveva. Eppure respirava, quel sottile ansimare suggeriva che il dolore era intollerabile.

Quando passarono, Two Tone controllò la faccia di Phil. Oh... merda... c'erano bruciature di terzo grado su tutto il viso e uno degli occhi era andato. Ammesso che il bastardo vivesse.

Giusto?

Fantastico. Ma se ne sarebbe occupato dopo.

Quando entrambi raggiunsero la porta, lui sapeva di dover riprendere il controllo della situazione.

Con una mossa veloce, le strinse il retro del collo e le sbatté la testa contro uno di quei pannelli duri come l'acciaio.

Questa volta, quando scivolò a terra, sapeva che si sarebbe presa una pausa per un po'. Ma le diede la possibilità di scuotersi prima di mettere da parte la pistola, appoggiò il pollice nel lettore di impronte digitali e la porta si aprì.

Accendendo le luci, la prese per le ascelle e la portò interno. Dopo aver chiuso entrambi dentro, la trascinò sul pavimento fino alla scala... e la portò nel piano interrato.

C'erano tre celle su quel piano, come quelle che si vedono in TV con le sbarre di ferro, pavimenti in cemento, giacigli in acciaio inossidabile al posto dei letti. I bagni erano funzionali non per la comodità del prigioniero/i, ma per il naso sensibile del Capo. Nessuna finestra.

Two Tone non fece un respiro profondo fino a che non l'ebbe portata nella prima cella ed ebbe chiuso la porta.

Prima di risalire per confermare la cattura alla casa base, coprire la Crown Vic con l'incerata mimetica e occuparsi di Phil, andò nella cella affiancò e urinò per quella che gli parve un'ora e mezza. Chiudendo la cerniera, uscì e fissò il muro macchiato davanti a lui.

I ceppi che pendevano da due catene d'acciaio sarebbero stati usati presto.


A parte la complicazione di Phil, quasi gli dispiaceva per la puttana.