mercoledì 30 luglio 2014

Capitolo 17 di THE KING di J.R. Ward


The King


17


"Leelan?"

Quando non ci fu risposta, Wrath, figlio di Wrath, bussò di nuovo alla porta della propria camera. "Leelan, posso entrare?"

Come Re, non doveva attendere nessuno, e non esisteva qualcuno a cui avrebbe permesso di fare alcunché.

A eccezione della sua preziosa compagna.

E così quella serata, in cui c'erano riunioni celebrative, lei desiderava farsi bella in privato, concedendogli l'accesso solo quando fosse stata pronta per farsi ammirare e adorare da lui. Era totalmente affascinante - come lo era il profumo della loro camera da letto grazie a oli e lozioni. E lo era anche il modo in cui, perfino dopo un anno dalla loro unione, lei ancora abbassava gli occhi e gli mostrava quel suo sorriso segreto mentre la corteggiava. Lo era svegliarsi a ogni tramonto con lei al suo fianco e far svanire tutto il resto, giacendo fino all'alba sdraiato accanto al suo caldo, magnifico corpo.

Ma c'era un limite diverso questa volta.

Quando l'attesa sarebbe terminata... e non riguardava ottenere l'accesso alla loro camera.

"Entra, mio amore," esclamò la voce attraverso i robusti pannelli in quercia.

Il cuore di Wrath sobbalzò. Aprendo la pesante serratura, diede le spalle alla porta... ed eccola lì. La sua amata.

Anha era all'altro lato della stanza, vicino al focolare sufficientemente grande da accogliere un maschio adulto all'interno. Seduta alla sua toilette, che aveva fatto spostare di fianco al fuoco per tenerla al caldo, gli dava le spalle, i lunghi capelli neri scendevano in spesse ciocche lungo la schiena fino alla vita.

Wrath fece un respiro profondo, il profumo di lei più necessario per i suoi polmoni dell'ossigeno. "Oh, sei magnifica."

"Non mi hai ancora vista con attenzione -"

Wrath aggrottò la fronte alla durezza nella sua voce. "Cosa ti affligge?"

La sua shellan si voltò verso di lui. "Nulla. Perché me lo chiedi?"

Stava mentendo. Il suo sorriso era una pallida versione della sua usuale radiosità, la pelle era troppo pallida, gli occhi bassi agli angoli.

Mentre attraversava i tappeti di pelliccia, il terrore gli strinse il petto. Quante notti erano trascorse da quando il bisogno l'aveva colpita e liberata? Quattordici? Ventuno?

Nonostante il rischio che avrebbe corso lei, entrambi avevano pregato affinché concepissero un bambino - non semplicemente un erede, ma un figlio o una figlia da amare e accudire.

Wrath si mise in ginocchio dinanzi alla sua leelan, e di sicuro si ricordava la prima volta che lo aveva fatto. Aveva visto giusto sposando questa femmina, e aveva avuto ancora più ragione nel mettere cuore e anima nelle sue mani amorevoli.


Poteva fidarsi soltanto di lei.

"Anha, dimmi la verità." Allungò una mano per toccarle il viso - e la ritrasse subito. "Sei gelida!"

"Non lo sono." Lei lo allontanò, poggiando la spazzola sul tavolino e alzandosi in piedi. "Indosso il velluto rosso che preferisci. Come potrei essere gelida?"

Per un momento, lui quasi dimenticò le sue preoccupazioni. Era una meravigliosa visione in quel colore scuro e ricco, il ricamo dorato sul suo corpetto catturava le fiamme proprio come i rubini. Indossava l'intera parure quella sera, le pietre scintillavano alle orecchie, al collo, ai polsi e alle mani.

Eppure, per quanto rispendesse, c'era qualcosa di sbagliato.

"Alzati, mio hellren," comandò lei. "E scendiamo a festeggiare. Tutti stanno aspettando te."

"Possono attendere ancora un po'." Non aveva intenzione di cedere. "Anha, parla con me. Cosa c'è che non va?"

"Ti stai preoccupando troppo."

"Hai perso del sangue?" le chiese bruscamente. Il che voleva dire che un bambino non era dentro di lei.

Anha appoggiò una mano sottile sul proprio ventre. "No. E mi sento... davvero bene. Sul serio."

Wrath strinse gli occhi. C'era, ovviamente, un altro problema che avrebbe potuto affliggerla. "Qualcuno è stato crudele con te?"

"Mai."

Su quello stava di sicuro mentendo.

"Anha, credi che ci sia qualcosa che io non sappia? Sono ben conscio di ciò che trapela dalla corte."

"Non preoccuparti di quegli stupidi. Io non me ne curo."

L'amava per la sua tenacia. Ma il suo coraggio non era necessario - se solo avesse capito chi si divertiva a tormentarla, se ne sarebbe occupato. "Io credo di dover riaffrontare i pettegolezzi."

"Non dire nulla, mio amore. Ciò che è fatto è fatto - non puoi evitare la presentazione. Mettere a tacere tutte le critiche e i commenti su di me ti condurrebbe ad avere una corte vacante."

Tutto era iniziato quella notte in cui era stata condotta da lui. Wrath non aveva seguito il protocollo, e nonostante il fatto che i desideri del Re regnavano sul territorio e su tutti i vampiri, c'erano quelli che disapprovavano: il fatto che non l'avesse denudata, che le avesse donato la parure di rubini e il rubino Saturnino, l'anello appartenente alla regina - e che poi avesse condotto da sé la cerimonia matrimoniale. Che l'avesse portata immediatamente nei suoi appartamenti privati.

Le critiche non si erano calmate nell'immediato quando aveva acconsentito a una cerimonia pubblica. Neanche loro, anche a distanza di un anno, avevano provato affetto verso la sua compagna. Non erano mai maleducati con lei in sua presenza, naturalmente - e Anha si rifiutava di dire una parola riguardo a ciò che accadeva alle sue spalle.

Ma l'odore della sua ansia e della depressione era una cosa che conosceva bene.

In verità, il trattamento che la corte rivolgeva alla sua amata lo irritava al punto da farlo diventare violento - e creava una frattura tra lui e coloro che lo circondavano. Si sentiva come se non potesse fidarsi di nessuno. Perfino la Confraternita, che si supponeva fosse la guardia privata del Re e quelli in cui avrebbe dovuto riporre fiducia al di sopra di tutti gli altri, sospettava anche di quei maschi.

Anha era tutto ciò che aveva.

Allungandosi verso di lui, lei prese il suo viso tra le proprie mani. "Wrath, mio amato." Spinse le labbra si quelle di lui. "Procediamo coi festeggiamenti."

Le strinse le braccia. Gli occhi di Anha erano pozze in cui annegare e l'unico terrore che sentiva nella spirale della morte era che qualche giorno non avrebbero potuto essere fissi nei suoi.

"Ferma i tuoi pensieri," lo implorò la sua shellan. "Non mi accadrà nulla, né adesso né mai."

Avvicinandola a sé, lui voltò la testa e l'appoggiò nel suo grembo. Quando le mani di lei gli accarezzarono i capelli, Wrath studiò gli oggetti presenti sul suo tavolino. Spazzole, pettini, ciotole basse piene di colori per le labbra e gli occhi, una tazza di tè vicino alla teiera, una fetta di pane appena mangiucchiata.

Oggetti banali, ma poiché lei li aveva presi, toccati e consumati adesso avevano un valore inestimabile: lei era in grado di tramutare tutto, anche lui stesso, in oro.

"Wrath, dobbiamo andare."

"Non voglio farlo. È qui che voglio stare."

"Ma la corte ti attende."

Lui disse qualcosa di abietto che sperava fosse stato catturato dalle pieghe del velluto. Quando sentì la leggera risatina di lei, capì che non aveva funzionato.

Tuttavia, lei aveva ragione. C'erano molte persone che l'attendevano.

Che fossero maledetti tutti!

Sollevandosi, porse il braccio alla sua sposa e mentre lei si voltava  per aggrapparsi la suo gomito, lui la condusse fuori dalle loro stanze e oltre le guardie di palazzo allineate nell'ingresso. Dopo un poco, discesero una scala curva e il vocio dell'aristocrazia divenne sempre più forte.

Mentre si avvicinavano alla grande sala, lei si avvicinò di più a Wrath e lui inspirò a fondo, gonfiando il petto, il suo corpo crebbe in statura in risposta all'affidamento che lei faceva su di lui. A differenza di molte cortigiane, che erano desiderose di affidarsi, la sua Anha aveva sempre conservato un orgoglioso decoro dentro se stessa - così quando, occasionalmente, necessitava della sua forza, era un dono speciale elargito alla sua mascolinità.

Non c'era niente che lo facesse sentire più maschio.

Quando la cacofonia divenne così forte da inghiottire il rumore dei loro passi, lui si avvicinò all'orecchio di lei. "Offriremo loro un veloce buonasera."

"Wrath, dovresti avvalerti di -"

"Te," disse, avvicinandosi all'ultimo angolo. "Ecco ciò di cui devo avvalermi."

Quando lei arrossì in maniera splendida, lui ridacchio - e si ritrovò fremente per l'imminente intimità.

Svoltando un'ultima volta, lui e la sua shellan arrivarono a una porta a doppio battente che usavano soltanto loro, e due Fratelli si fecero avanti per accoglierli adeguatamente.

Beata Vergine Scriba nel Fado, Wrath detestava quelle riunioni dell'aristocrazia.

Mentre le trombe annunciavano il loro arrivo, le porte vennero spalancate e le centinaia di persone assemblate tacquero, i loro abiti colorati e i gioielli scintillanti rivaleggiavano col soffitto dipinto al di sopra delle loro teste acconciate e col pavimento a mosaico sotto ai loro piedi calzati da seta.

C'era stato un momento, quando suo padre era ancora in vita, in cui lui era rimasto impressionato dalla grande sala e dalla finezza dell'aristocrazia. Adesso? Anche se i confini della proprietà non erano ampi quanto i campi di caccia, e i suoi focolari doppi erano grandi quanto le abitazioni civili, Wrath non aveva alcuna illusione di grandezza e onore.

Un terzo membro della Confraternita parlò con voce tonante. "Le loro altezze reali, Wrath, figlio di Wrath, sovrano di tutto ciò che si trova dentro o fuori i territori della razza, e la Regina Anha, amata figlia di sangue di Tristh, figlio di Tristh."

In un istante, l'applauso obbligatorio  scrosciò, rimbalzando su se stesso, ogni battito individuale si perse nel clamore. E venne il momento della risposta reale. In accordo con la tradizione, il Re non chinava mai il capo dinanzi a nessuna anima vivente, per cui era compito della Regina ringraziare cortesemente le persone raggruppate con una riverenza.

Anha lo fece con grazia e sicurezza.

Poi fu il turno degli individui riuniti di esibire la loro lealtà con inchini per i maschi e riverenze per le femmine.

E ora che le formalità di gruppo erano state espletate, Wrath doveva esaminare i suoi cortigiani e salutarli uno a uno.

Andando avanti, non riusciva a ricordare quale festività stessero celebrando, quale pagina del calendario avessero voltato, o quale fase lunare oppure quale cambio di stagione. La Glymera trovava innumerevoli ragioni per riunirsi, la maggior parte di esse piuttosto insensate, considerato che gli stessi individui si presentavano nei medesimi luoghi d'incontro.

Gli abiti erano sempre diversi, naturalmente. Lo stesso i gioielli indossati dalle femmine.

E nel frattempo, mentre cene di alta qualità venivano preparate e consumate, e ci si scambiavano sgarbi e offese ad ogni respiro, c'erano problemi importanti di cui occuparsi: la sofferenza dei plebei a causa della recente siccità; invasione da parte degli umani; aggressione dalla Lessening Society. Ma l'aristocrazia non si preoccupava di questi aspetti - perché dal loro punto di vista, erano problemi ampiamente affrontati dai "bastardi senza faccia e senza nome."

Contrariamente alle basilari leggi di sopravvivenza, la Glymera attribuiva poca importanza alla popolazione che raccoglieva il cibo che loro consumavano e che costruivano le strutture in cui loro vivevano e che cucivano gli indumenti che coprivano le loro schiene -

"Vieni, mio amore," sussurrò Anha. "Andiamo a salutarli."

Oh, a quanto pareva si era fermato senza accorgersene.

Riprendendo a camminare, Wrath si soffermò su Ench, che si trovava sempre davanti ai maschi in tunica grigia.
"Salute, Vostra Maestà," disse il gentiluomo - in un tono come se fosse l'unico mastro di cerimonie. "E a te, mia Regina."

"Enoch." Wrath guardò in basso gli uomini di corte. I dodici maschi erano ordinati in virtù della gerarchia, e in quanto tale, l'ultimo della fila, che sembrava aver appena superato la transizione, proveniva da una famiglia con una grande linea di sangue, ma con pochi mezzi. "Come stai?"

Non che gli importasse. Lui era molto più interessato a chi, tra loro, aveva ferito la sua amata. Di sicuro doveva essere uno, se non tutti: Anha non aveva serve, su sua espressa richiesta, per cui queste erano le uniche persone con cui lei aveva contatto a corte.

Ciò che era stato detto. Chi lo aveva detto.

Wrath proseguì lungo la fila e salutò tutti secondo il protocollo. Ovviamente, questa antica sequenza di indirizzi privati nel mezzo di un incontro pubblico era un modo di esibire e riaffermare la posizione dei consiglieri a corte, una dichiarazione della loro importanza.

Ricordava perfettamente quando a farlo era suo padre. Solo che il maschio sembrava dar valore alle relazioni con gli uomini di corte.

Specialmente quella notte, il figlio non era per niente ciò che era stato suo padre.

Chi aveva -

Inizialmente pensò che la sua amata fosse inciampata e avesse bisogno di più sostegno dal suo braccio. Eppure, ahimè, non aveva perso il passo. Aveva perso l'equilibrio...

E tutto il resto.

Alla sensazione di trascinamento dal proprio braccio, Wrath voltò la testa, e fu così che vide il corpo vivo della sua shellan perdere le forze e scivolare verso il basso.

Con un urlo, si allungò per prenderla, ma non fu abbastanza veloce.

Mentre la folla ansimava, Anha cadde sul pavimento, gli occhi vitrei che lo fissavano senza vedere nulla, la sua espressione piatta, la pelle ancora più pallida di come l'aveva vista nella loro camera.


"Anha!" urlò Wrath, accasciandosi sul pavimento con lei. "Anha...!"

mercoledì 23 luglio 2014

Capitolo 16 di THE KING di J.R. Ward


The King

16


Quando Wrath prese forma alla clinica della razza, sentì che Vishous si materializzava dietro di lui - e lo infastidì la sua necessità di avere con sé una fottuta babysitter. Almeno la conoscenza medica di V era un valore aggiunto.

"Quattro metri e mezzo dritto davanti a te," annunciò suo fratello. "Poco più di un metro di pavimentazione di fronte ai tuoi piedi. Poi il terreno è coperto di neve."

Wrath fece un passo sull'asfalto duro. Al passo successivo, le sue scarpe da ginnastica colpirono la neve.

Non aveva portato George. La cecità non era una virtù in tempo di pace per un sovrano. E durante la guerra? Era una debolezza fatale - e nulla la indicava meglio di una cane guida per ciechi.

Naturalmente, al retriever  era venuto un colpo per esser stato lasciato indietro - ma con Beth che già era incazzata con lui, ovviamente aveva dovuto isolare il maledetto cane. La prossima cosa di cui si sarebbe occupato? La Confraternita. Anche se quei zucconi figli di puttana erano troppo tenaci per essere messi fuori gioco da qualcosa di meno di una bomba atomica.

"Fermo," disse V.

Wrath si bloccò anche se digrignò i molari. Sempre meglio che camminare di fianco all'edificio.

Ci fu una pausa durante la quale V inserì il codice che cambiava ogni sera e poi entrarono nell'ingresso basso, quell'odore tipico da ospedale asettico annunciò che si trovavano nel posto giusto.

E merda se si sentiva male: gli doleva il petto, gli pulsavano le tempie e sentiva la pelle tirare dappertutto.

Un chiaro caso di stronzaggine acuta.

E, con ogni probabilità, era terminale.

"Buonasera, signori," disse una sottile voce femminile - e anche attraverso l'altoparlante, era pregna di timore reverenziale. "L'ascensore arriverà tra qualche istante."

"Grazie," disse V a denti stretti.

Già, il fratello odiava Havers per diverse ragioni. Dopotutto, lo odiava anche Wrath.

Solo pensare a quando il buon dottore aveva provato a ucciderlo un paio di anni prima, era apparso come un grande problema. Adesso? In confronto a gente del calibro di Xcor e la Banda dei Bastardi, che un camice bianco con un papillon e gli occhiali con la montatura in osso provasse a farti fuori era un dannato gioco da ragazzi.

Merda, Wrath desiderò poter tornare indietro all'epoca di suo padre, quando la gente rispettava il trono.

Si sentì il rumore delle porte di un ascensore che si aprivano e poi V toccò il retro del suo braccio. Insieme, entrarono nella cabina, e dopo un bing e lo scorrere delle porte, una sensazione di sprofondamento confermò che erano diretti nel sottosuolo.

Quando le porte si riaprirono, Vishous prese il comando con attenzione: si mise talmente vicino a Wrath da stare spalla contro spalla e non si mosse più, senza alcun dubbio a un osservatore casuale appariva come una guardia del corpo che svolgeva il proprio lavoro verso il Re della razza.

Invece fungeva da surrogato di un paio di bulbi oculari.

Un improvviso mormorio nella sala d'attesa indicò che erano entrati in un'area pubblica. E l'affluenza all'accettazione era allo stesso modo agitata.

"Mio signore," disse una qualche femmina, mentre si sentiva uno stridio come se una sedia fosse stata spostata all'indietro. "Prego. Da questa parte."

Wrath voltò la testa in direzione della voce e annuì. "Grazie per averci ricevuti."

"Naturalmente, mio signore. È un raro onore avere la tua presenza nel nostro..."

Bla, bla, bla.

La buona notizia fu che venne velocemente indirizzato in una zona privata con la minima interruzione. E poi ci fu da aspettare. Ma non per molto. Wrath avrebbe scommesso che Havers avesse indossato le scarpe da corsa pur di raggiungerli ovunque si trovassero.

Non che quel fifone dal culo stretto sapesse necessariamente dove trovare le Nike.

"Tutti gli ospedali devono avere, tipo, dei Monet alle pareti?" borbottò Vishous.

"Suppongo che i poster siano economici."

"In realtà è un dipinto."

Oh, Certo. Ovviamente erano nell'ala VIP. "Lascialo a Havers - è un cliché perfino da Sotheby."

"Probabilmente l'ha portato qui dal Vecchio Continente. Che idiota senza gusto. Una volta che hai visto una ninfea, le hai viste tutte. E io odio il rosa. Lo odio sul serio. Anche se il color lavanda è peggio."

Quando Wrath alzò le mani per sentire ciò che aveva intorno, pensò ai quadri impressionisti che aveva veduto in passato quando la vista ancora un po' funzionava. Quando si parla di visione sfocata - niente come l'arte imbrattata di un pittore mezzo cieco che veniva vista da uno stronzo mezzo cieco.

I surrealisti con le loro forme ben delineate sarebbero state molto meglio se lui avesse voluto -

Cavolo. Il suo cervello non voleva proprio pensare a dove si trovavano in quel momento.

"C'è un lettino da visita proprio di fronte a te."

"Non mi farò visitare," borbottò Wrath.

"Bene, il divano in seta della nonna di qualcuno è alla tua destra."

Quando si direzionò e si avviò verso il divano, pensò a quanto amava avere un intero staff di dottori in casa propria. Era un peccato che la dottoressa Jane e Manny non potessero rispondere alla sua richiesta in quel caso. E sì, suppose che avrebbe potuto ottenere l'informazione in un altro modo - ad esempio mandando Fritz a chiedere. Ma a volte l'unica strada era fare le cose con le proprie mani: voleva sentire l'odore del medico quando il maschio avrebbe parlato. Era l'unico modo per assicurarsi che stesse dicendo la verità.

"Vuoi dirmi di cosa si tratta?" chiese V

Il rumore di uno scatto fu seguito da uno sfregamento e, un attimo dopo, il profumo del tabacco turco spazzò via la maggior parte, se non tutta, dell'esalazione della candeggina di oh, tantissimi spazzoloni della Lysol.

Quando Wrath non disse una parola, V imprecò. "Lo sai, Jane può vedersela lei, qualunque cosa sia."

"Conosce il bisogno dei vampiri? No? Io non credo proprio."

Quella frase chiuse la bocca al fratello per un minuto.

In quel silenzio, Wrath sentì un opprimente bisogno di andare avanti e indietro - ma non era possibile, a meno che non volesse sbattere contro l'eccessivo mobilio di Havers.

"Parlamene."

Wrath scosse la testa. "Non ho niente da dire."

"Come se questo ti avesse mai fermato prima, vero?"

Fortunatamente, Havers scelse quel momento per entrare - solo per fermarsi all'istante non appena entrato nella sala visite.

"Perdonami..." disse a Vishous. "Ma qui non è permesso fumare."

Il tono di V era annoiato. "La nostra specie non si ammala di cancro - oppure è una notizia della ultim'ora per te?"

"È a causa delle bombole di ossigeno."

"Qui ce n'è qualcuna?"

"Ah... no."

"Beh, non me ne andrò in giro a cercarne una."

Wrath tagliò corto qualsiasi risposta. "Avete chiuso la porta?" Brutti stronzi. "Devo farti un paio di domande. E di' alla tua infermiera di andarsene, ti spiace?"

"No... naturalmente."

La paura permeò l'aria quando l'infermiera se ne andò e la porta venne chiusa, e Wrath non se la sentì di biasimare il medico per essere nervoso.

"In cosa posso servirti, mio signore?"

Wrath compose nella sua mente la figura del maschio, immaginando che Havers portasse ancora gli occhiali su quella faccia da accademico della Ivy League e quel camice bianco col nome appiccicato vicino al bavero. Come se ci si potesse confondere riguardo alla sua clinica e al suo ruolo.

"Voglio sapere cosa puoi fare per fermare il bisogno di una femmina."

Un lungo silenzio attonito.

Beh, a eccezione di V che borbottava qualcosa che, con ogni probabilità, iniziava con la lettera C e terminava con Z-Z-O.

Dopo un istante, si sentì un cigolio, come se il buon dottore si fosse seduto vicino al divano di Wrath. "Io, ah, non sono sicuro di come rispondere, mio signore."

"Spara," disse Wrath aspramente. "E in fretta. Non ho tutta la notte a disposizione."

Dei rumori silenziosi suggerirono che il maschio stava trafficando con qualcosa. Una penna? Forse uno stetoscopio? "Lei... è la, ah, femmina... è già cominciato?"

"No."

Il silenzio che seguì la sua risposta gli fece desiderare di non essere mai andato lì. Eppure non se ne sarebbe andato in quel momento, e non solo perché non aveva idea di dove si trovasse la porta. "Non è la mia shellan, comunque. Si tratta una mia amica."

Gesù Cristo, come se lui avesse contratto una malattia a trasmissione sessuale o qualche altra merdaccia simile.

Ma almeno quella frase servì a far rilassare il dottore.

Istantaneamente, le vibrazioni del maschio si calmarono e cominciò a muovere la bocca. "Non ho una bella risposta per te, sfortunatamente. Non ho trovato alcun modo per bloccare l'inizio del bisogno. Ho provato diverse droghe, anche quelle disponibili sul mercato umano - il problema è che le femmine di vampiro hanno un ormone extra che, una volta attivato, innesca una schiacciante e ampia risposta del sistema. Di conseguenza, le pillole contraccettive umane o le iniezioni non hanno alcun effetto sulle nostre femmine."

Wrath scosse la testa. Avrebbe dovuto saperlo - niente nel ciclo riproduttivo di una femmina di vampiro era semplice.

Idiota di una Vergine Scriba. Oh, sicuro, vai avanti e crea una razza di individui - e già che ci sei, perché non gli rifili qualche immensa sfiga? Fantastico.

Havers continuò, la sedia cigolò di nuovo che se stesse cambiando posizione.

"Aiutare la femmina durante la sofferenza è il solo metodo che ha funzionato. Ne vuoi un kit per la tua amica, mio signore?"

"Kit, per cosa..."

"La cura durante il bisogno."

Wrath pensò a Beth seduta in quella stanza con Layla. Solo Dio sapeva da quanto tempo andava avanti - ma più di tutto, lui aveva paura che avesse funzionato: in presenza della sua shellan il suo pene era completamente eretto. E sì, non era una cosa insolita, a eccezione del fatto che stavano litigando e il sesso era l'ultima fottuta cosa che gli girasse in mente.

Il suo flusso ormonale poteva benissimo essere già in azione.

O era così, oppure lui era paranoico.

Il che rappresentava una possibilità.

"Sì," sentì la propria voce dire: "Ne voglio uno."

Sentì che qualcosa veniva scritto su un foglio. "Adesso avrò bisogno del maschio che è responsabile per lei per firmare questo, che sia il suo hellren, suo padre o il maschio più anziano della sua casata. Non mi sento a mio agio a lasciare in giro un livello tale di narcotici - e, naturalmente, qualcuno di loro dovrà gestirli per lei. Non solo con ogni probabilità lei sarà pregiudicata dal bisogno, ma siamo onesti. In ogni caso le femmine  non riescono a ragionare lucidamente su questo tipo di eventi."

Per qualche ragione, Wrath pensò a Payne mentre lo accusava di essere un misogino.

Almeno Havers gli aveva leccato il culo alla grande al riguardo.

Oh merda, stava per apporre la propria firma? A casa quando era seduto dietro alla sua scrivania, Saxton gli segnava sempre la linea dove firmare con una serie di punti rialzati -

"Lo firmo io," s'intromise duramente V. "E la mia shellan, che è un medico come te, si occuperà di tutto."

"Tu sei sposato?" sputò tra i denti il dottore. Come se ci fossero più possibilità che un meteorite colpisse la clinica rispetto al matrimonio di V. "Intendo dire-"

"Dammi il foglio," disse Vishous. "E la tua penna."

Nel silenzio imbarazzato si sentiva soltanto lo scrivere sulla carta.

"Quanto pesa?" chiese Havers, si sentì un fruscio di carte come se stesse mettendo in ordine dei documenti.

"Non lo so," esclamò Wrath.

"Vuoi che veda la femmina in questione, mio signore? Può venire qui nel momento in cui lo ritiene più comodo, oppure potrei prestare una visita a domicilio -"

"Sessantatre chili," disse V. "E basta parlare. Lasciaci prendere la droga così possiamo uscire da qui."

Mentre Havers incespicava nei propri mocassini per lasciare in fretta la stanza, Wrath si appoggiò all'indietro fino a che la testa non colpì l'intonaco del muro alle sue spalle di cui non era consapevole.

"Vuoi dirmi cosa diamine di storia è questa adesso?" sputò tra i denti suo fratello. "Perché in questo momento sto saltando a un mucchio di conclusioni, di cui nessuno di noi due ha bisogno - visto che potresti semplicemente rispondere a questa cazzo di domanda."

"Beth ha trascorso parecchio tempo con Layla."

"Perché lei vuole..."

"Un bambino."

Una nuova boccata di tabacco turco colpì il naso di Wrath, suggerendogli che il fratello aveva ispirato a fondo. "Fai sul serio nel non volere avere un figlio?"

"Mai. Come ti suona 'mai'?"

"Come Amen, discorso chiuso." All'improvviso la scarpe di V cominciarono a girare per la stanza e, cavolo, il fatto di poter andare liberamente avanti e indietro divenne un qualcosa da invidiare. "Non è che io non rispetti Z e il loro piccolo nucleo familiare. Grazie a quelle sue due femmine, sembra quasi normale - il che è di per sé un miracolo. Quindi, ben venga, giusto? Ma quella schifezza non fa per me. Grazie a Dio Jane la pensa allo stesso modo."

"Già. Grazie a Dio."

"Beth invece no? Non siete sulla stessa barca?"

"Per niente. Lei non è ancorata neanche allo stesso porto, o nella stessa città o in una qualsiasi parte di un qualunque paese in cui alberghi la tua metafora."

Wrath si massaggiò la fronte. Da un lato, era fantastico avere qualcuno che era d'accordo con lui riguardo al problema del non avere bambini - lo faceva sentire meglio, come se non stesse facendo qualcosa di sbagliato o che non fosse crudele nei confronti di Beth. Dall'altro, il fatto che Vishous e Jane fossero d'accordo? Non che desiderasse che quella stessa merda la passasse il fratello. Per niente. Ma dannazione, se avesse potuto mettersi nei suoi panni, sarebbe stato tranquillo a vita, grazie tante.

Mentre suo fratello fumava andando avanti e indietro, e entrambi aspettavano il ritorno di Havers con le gocce per il fuori combattimento... senza alcun motivo, Wrath pensò ai genitori.

I ricordi che aveva di sua madre e suo padre rammentavano i dipinti di Norman Rockwell - beh, si doppiava l'Antico Idioma e si cambiava il set in un tema con castello medievale. Ma sì, quei due avevano avuto un rapporto perfetto. Mai discussioni, niente rabbia, solo amore.

Non si era mai messo nulla tra di loro. Né il lavoro di suo padre, né la corte che viveva a palazzo e tanto meno la cittadinanza che governavano.

Era una perfetta armonia.

Tuttavia era un'altra regola fissa nel passato in cui lui stava fallendo non dimostrandosi all'altezza -  

Uno strano rumore venne fuori dalle labbra di V, in parte un rantolo e in parte un'imprecazione.

"Ti è andato il fumo di traverso?" disse Wrath aspramente.

Proprio di fianco a lui, la sedia su cui era stato seduto Havers non cigolò, più che altro imprecò - come se V ci si fosse buttato addosso a peso morto.

"V?"

Quando il fratello infine rispose, la sua voce era bassa, troppo bassa. "Ti vedo..."

"No, no, no," sbottò Wrath. "Non voglio saperlo, V. Se stai avendo una delle tue visioni, non dirmi cosa -"

"... in un campo tutto bianco. Il bianco... è tutto intorno a te..."

Il Fado? Oh, porca troia. "Vishous -"

"... e stai parlando con -"

"Ehi! Stronzo! Ti ho sempre detto che non voglio sapere come morirò. Mi senti? Non voglio saperlo."

"- il volto dei cieli."

"Tua madre?" Cristo, sapeva che la Vergine Scriba era dispersa in azione da un po' di tempo ormai. "È tua madre?"

Merda, non voleva incoraggiarlo a continuare. "Ascolta, V, torna indietro. Non posso gestirlo, amico."

Ci fu una bassa imprecazione, come se il fratello si stesse ricompattando. "Mi spiace, quando una visione colpisce così all'improvviso, è difficile fermarla."

"È tutto a posto." Anche se non lo era per niente. Neanche lontanamente.

Perché il problema con le premonizioni di Vishous - a parte il fatto che riguardassero sempre le morti? No, era la linea temporale. Quella roba che riguardava Wrath avrebbe potuto avverarsi la prossima settimana. Il prossimo anno. Tra settecento anni a partire da quell'istante.

Se Beth fosse morta... lui non avrebbe voluto continuare a vivere -

"Tutto quel che posso dirti è che," V esalò nuovamente una nuvola di fumo, "vedo che il futuro è nelle tue mani."

Bene, almeno quello era generico e piuttosto ovvio, come l'oroscopo settimanale in una rivista - il tipo di notizia che chiunque può leggere e sentirla applicata a se stesso.

"Fammi un favore, V."

"Cosa?"

"Non vedere nulla che mi riguardi."

"Non dipende da me, lo sai."

Giustissimo. Esattamente come per il proprio futuro.

Ma la buona notizia era che... non avrebbe dovuto preoccuparsi per il bisogno di Beth. Grazie a quella miserabile, piccola visita, sarebbe stato in grado di occuparsi di lei quando fosse arrivato.


Senza correre alcun rischio di gravidanza.