martedì 23 dicembre 2014
lunedì 1 dicembre 2014
Primo estratto di THE SHADOWS di J.R. Ward
"E quando ti sei nutrito l'ultima volta?" chiese Rhage
a Trez. "Stai una merda."
Vishous alzò le mani. "Hollywood, hai intenzione di -"
"Sai, ho bevuto da Selena stasera e il suo sangue è eccezionale
-"
Accadde tutto così in fretta. Un attimo prima V stava sproloquiando con lui sul fatto che l'Ombra avesse davvero bisogno di attaccarsi
a una vena.
Quello successivo, le enormi mani di Trez erano serrate attorno
al suo collo, bloccandogli anche il minimo accesso d'aria - mentre ringhiava a
zanne scoperte come se Rhage fosse il suo nemico.
In un istante, e a dispetto della brutta ferita alla spalla,
Vishous contrattaccò l'Ombra, aggredendolo con un body slam mentre Rhage
afferrava quei polsi spessi per liberarsi dalla morsa. Assurdo da pensare, ma non
servì a nulla. Anche coi quasi 140 chili di V, che provava a tirar via Trez,
e la resistenza alla trazione di Rhage, a malapena l'Ombra si mosse, per la
serie sono-una-parete-di-mattoni-e-non-vado-da-nessuna-parte.
E dopo tutti e tre ebbero qualcosa di cui preoccuparsi sul
serio.
Rhage chiuse le palpebre, e quando aprì gli occhi, una luce
brillante inondò l'angusta e scura camera del sesso.
"Cazzo," esclamò V a denti stretti. "Mollalo
subito, Trez, cazzo! Siamo nei casini!"
mercoledì 26 novembre 2014
Ecco a voi...
Meraviglieeeeee!
Quella a sinistra sono io, ma lo sapete chi è quella alla vostra destra??? Nientepopodimenoche Lalayasha, alias Ross. È un vero onore aver conosciuto una di voi, spero presto di poter condividere una gioia del genere con tutte. Un grande bacio e a presto...
Christiana V
mercoledì 29 ottobre 2014
Invidia!!!
Ragazze mie,
volevo condividere con voi questa IMMENSA gioia: IL RE è arrivato!
Ecco la mia foto. Stamane ho bloccato la commessa della libreria e l'ho costretta a tirarne fuori una copia prima ancora di esporli perché, povera lei, non aveva ancora avuto tempo!
Ma dico, con la Zietta si trova sempre il tempo, è d'OBBLIGO!
Comunque io ce l'ho, scambiamoci pure i nostri pensieri al riguardo e, qualora qualcuno non lo avesse ancora preso e volesse qualche altro capitolo in traduzione, commenti pure questo post e provvederò.
Io ho tradotto solo il 27°, però, perché sicura che tutte voi abbiate avuto la vostra fetta di Paradiso, esattamente come me.
Un bacio a tutte.
volevo condividere con voi questa IMMENSA gioia: IL RE è arrivato!
Ecco la mia foto. Stamane ho bloccato la commessa della libreria e l'ho costretta a tirarne fuori una copia prima ancora di esporli perché, povera lei, non aveva ancora avuto tempo!
Ma dico, con la Zietta si trova sempre il tempo, è d'OBBLIGO!
Comunque io ce l'ho, scambiamoci pure i nostri pensieri al riguardo e, qualora qualcuno non lo avesse ancora preso e volesse qualche altro capitolo in traduzione, commenti pure questo post e provvederò.
Io ho tradotto solo il 27°, però, perché sicura che tutte voi abbiate avuto la vostra fetta di Paradiso, esattamente come me.
Un bacio a tutte.
Christiana V
mercoledì 22 ottobre 2014
Capitolo 26 di THE KING di J.R. Ward
The King
26
Saxton si guardò nello specchio dello spogliatoio, afferrò le
estremità del farfallino e le annodò insieme. Quando lasciò andare la seta
adornata, il papillon mantenne forma e simmetria come un cucciolo bene
addestrato.
Facendo un passo indietro, lisciò i capelli appena tagliati e
indossò il suo cappotto invernale di cashmere di Marc Jacobs. Tirò prima una
manica e poi l'altra, infine allargò le braccia in modo che i gemelli ai
polsini sotto la giacca del completo fossero visibili.
Non erano quelli con lo stemma di famiglia.
Quelli non li indossava più.
No, questi erano dei gemelli di Van Cliff & Arpels degli
anni quaranta, in platino, zaffiri e diamanti.
"Ho già messo il profumo?" Guardò le sue bottiglie di
Gucci, Prada e Chanel ben allineate sul vassoio a specchio con le maniglie in
ottone. "Nessun commento da parte vostra?"
Diede una veloce annusata a un polso. Sì, era Égoïste quello che
indossava, e l'aveva appena messo.
Voltandosi, attraversò il pesante pavimento in marmo venato
color panna e entrò nella sua camera da letto bianco-su-bianco. Avvicinandosi
al letto, ebbe l'istinto di rifarlo daccapo, ma erano i nervi a farlo agire in
quel modo.
"Solo una ricontrollata."
Sprimacciò i cuscini e sistemò il copriletto nell'esatta
posizione in cui era prima che lui si vestisse, lanciò un'occhiata alla sveglia
vintage di Cartier sul comodino.
Non poteva più rimandare.
Eppure guardò ancora una volta la chaise lounge bianca e le
poltrone dello stesso colore. Ispezionò i tappeti in mohair bianchi.
Incamminandosi, si assicurò che il Jackson Pollock sul camino fosse
perfettamente allineato.
Questa non era la sua vecchia casa, quella in stile vittoriano
in cui Blay aveva trascorso una giornata. Era l'altra, una villetta a un piano di Frank Lloyd Wright che aveva
acquistato non appena era stata messa in vendita - e perché non avrebbe dovuto
comprarla? Ne erano rimaste talmente poche sul mercato.
Naturalmente aveva dovuto effettuare delle ristrutturazioni e
degli ampliamenti clandestini del seminterrato, ma era ormai da molto tempo che
i vampiri avevano trovato i loro metodi per aggirare gli umani e i loro
fastidiosi ispettori edili.
Controllando di nuovo il suo Patek Philippe, si chiese il perché
di quel terribile pellegrinaggio. Ancora una volta.
Era come un orrendo Giorno della Marmotta. Ma perlomeno non
accadeva con grande regolarità.
Mentre risaliva le scale, era vagamente consapevole di sistemare
nuovamente il papillon. Aprì la porta che collegava il seminterrato alla zona
superiore ed entrò in una raffinata cucina anni quaranta completa di moderne
riproduzioni perfettamente funzionanti di elettrodomestici identici a quelli
della sitcom I Love Lucy.
Ogni volta che attraversava la casa col suo mobilio Jetsons e
l'assoluta mancanza fronzoli, si sentiva come se si trovasse nell'America del
secondo dopoguerra - e la cosa lo calmava. Gli piaceva il passato. Gli
piacevano le differenti impronte delle varie epoche. Gradiva vivere in posti
quanto più possibile autentici.
E non era intenzionato a tornare presto in quella casa
vittoriana. Non dopo che, in pratica, era iniziata lì la storia tra lui e Blay.
Uscendo dalla porta principale, Saxton pensò al maschio e sentì
una stretta al petto - e si fermò, concentrandosi sulla sensazione, sui ricordi
che l'accompagnavano, sul cambio di pressione sanguigna e sul corso dei
pensieri.
Dopo che si erano lasciati, che era accaduto sotto sua
istigazione, aveva letto parecchio sul dolore. Le fasi. il processo. Ed era
stato buffo... stranamente, la miglior risorsa era stata un libricino che aveva
trovato e che parlava di come superare la perdita di un animale da compagnia.
Conteneva domande a cui si presumeva si dovesse rispondere riguardo ciò che il
cane aveva insegnato o quello che mancava di più del gatto o ancora quali sono
stati i più bei momenti col tuo pappagallo.
Non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma aveva risposto ad
ognuna di quelle domande sul suo diario riferendosi a Blay - e farlo l'aveva
aiutato. Fino a un certo punto. Dormiva ancora da solo, e anche se aveva ripreso
a fare sesso, invece di fare tabula rasa e ricominciare daccapo, la situazione
lo faceva soffrire ancora di più.
Ma le cose andavano meglio di prima. Almeno il suo principio
operativo era per metà normale: per le prime due notti era stato un morto
vivente. Ora, invece, la ferita aveva formato una crosta e mangiava e dormiva.
Però capitavano ancora situazioni capaci
d'innescare certi meccanismi - ad esempio ogni volta che doveva vedere Blay o
Qhuinn.
Era così difficile essere felici per colui che amavi... quando
quel qualcuno stava con un altro.
Tuttavia, come in ogni aspetto della vita, c'erano cose che
potevi cambiare e altre invece no.
Riguardo a quello...
Chiuse gli occhi, si smaterializzò e riprese forma su un prato
ricoperto di neve grande quanto un parco cittadino - e altrettanto curato. D'altronde
suo padre odiava tutto ciò che non era ordinato: piante, erba, objets d'art,
mobili... figli. L'immensa villa padronale più avanti si estendeva su una
superficie di millequattrocento metri quadrati, diverse ali erano state
aggiunte da generazioni di umani. Guardandola avvolta dalla notte invernale,
Saxton si ricordò dell'esatta motivazione per cui il padre l'aveva acquistata
quando alcuni ex allievi l'avevano lasciata all'Union College - si trattava del
Vecchio Continente nel Nuovo Mondo, una casa lontana dalla terra natia.
Da tradizionalista, suo padre aveva apprezzato il ritorno alle
origini. Non che le avesse mai davvero abbandonate.
Mentre si avvicinava all'ingresso principale, entrambe le fiammelle
nelle lampade a gas ai lati dell'imponente portone tremolarono, investendo di
una luce antica le lavorazioni in pietra scolpite nel diciannovesimo secolo
come espressione dello stile neogotico. Quando si fermò, Saxton pensò che forse
non avrebbe dovuto suonare il campanello, perché i domestici lo stavano
attendendo.
Loro, come suo padre, si affrettavano sempre a farlo entrare e
uscire da casa - come se lui fosse un documento da elaborare o una cena da
servire e dopo sparecchiare in tutta fretta.
Eppure nessuno aprì il portone in anticipo.
Allungandosi, Saxton tirò una catena in ferro rivestita di
velluto per far suonare il campanello.
Non ci fu risposta.
Accigliandosi, lui fece un passo indietro e guardò di lato,
senza scoprire nulla. C'erano troppi cespugli ultra curati per riuscire a
vedere all'interno di qualcuna di quelle vetrate a piombo.
Restare chiuso fuori casa rappresentava l'esatta testimonianza
del rapporto che aveva col padre, giusto?
Il maschio gli aveva chiesto di
tornare per il suo compleanno e poi l'aveva lasciato fuori al freddo davanti al
portone.
In realtà, al momento attuale, Saxton aveva deciso che la sua
esistenza era un gran vaffanculo a suo padre. Da ciò che aveva capito, Thym
aveva sempre desiderato un bambino - un figlio, per essere esatti. Aveva
pregato la Vergine Scriba pur di averne uno. E il suo desiderio era stato
esaudito.
Sfortunatamente, c'era stata una condizione che aveva decretato
un insuccesso.
Proprio mentre si chiedeva se dovesse bussare ancora, il portone
venne aperto dal maggiordomo. La faccia del doggen era glaciale come al solito,
ma il fatto che non si inchinasse dinanzi al primo e unico figlio del suo
padrone la diceva lunga sull'opinione che avesse nei confronti di chi stava
lasciando entrare in casa.
Non era stato sempre così in quella casa. Ma sua madre era
morta, e poi il suo piccolo segreto era venuto a galla, quindi...
"Vostro padre al momento è impegnato." E basta. Niente
Posso-prendere-il-cappotto?, Come state?, o ancora, Fa piuttosto freddo questa
notte, nevvero?
Per lui non si sarebbero sprecate nemmeno due chiacchiere sul
tempo.
Il che andava bene. Non gli era mai importato di quel tizio, in
ogni caso.
Quando il maggiordomo si fece di lato, concentrandosi sulla
parete rivestita in seta di fronte a sé, passare davanti a quello sguardo fisso
fu come essere colpito da una recinzione elettrificata - almeno a quello Saxton
era abituato. E poi conosceva la strada.
Il salottino della padrona era a sinistra, e quando entrò nella
stanza vezzosa, si mise le mani nelle tasche del cappotto. Le pareti color
lavanda e il tappeto giallo limone erano luminosi e allegri, e la verità era
che, anche se farlo entrare in quella stanza rappresentava un insulto, la
preferiva molto di più all'equivalente maschile rivestita in legno dall'altra
parte dell'ingresso.
Sua madre era morta da tre anni, ma quella camera non
rappresentava un mausoleo preposto alla perdita. In realtà, Saxton non credeva
che al padre mancasse la moglie.
Thym era sempre stato più attratto dalla legge - anche in
questioni relative alla glymera -
Saxton si bloccò, voltandosi verso la parte posteriore della
stanza.
In lontananza, si sentirono delle voci confuse - e quello era
inconsueto. L'intera casa di solito era silenziosa come una biblioteca, la
servitù camminava in punta di piedi, i doggen comunicavano tra di loro
attraverso un complesso sistema di segnali con le mani che avevano messo a
punto per non disturbare il padrone.
Saxton si avvicinò alle altre porte. A differenza di quelle che
conducevano all'ingresso, queste erano chiuse.
Socchiudendo un battente, Saxton scivolò nella austera stanza a pianta ottagonale in
cui suo padre teneva i tomi rilegati in pelle che riguardavano le Antiche
Leggi. Il soffitto era alto quasi dieci metri, le modanatura di tutti quegli
scaffali erano in mogano scuro, le cornici al di sopra delle porte erano
intagliate con dei rilievi rappresentanti immagine gotiche - o almeno delle
riproduzioni del diciannovesimo secolo.
Al centro di quello spazio circolare, c'era un enorme tavolo
rotondo col piano in marmo che... lo scioccò.
Era pieno di libri aperti.
Guardando le mensole in alto, vide dei vuoti tra i volumi
allineati. All'incirca una ventina.
Un allarme gli risuonò alla base del cranio, tenne le mani in
tasca e si allungò per leggere le frasi esposte in bella vista...
"Oh, Gesù..."
Successione.
Suo padre stava studiando le leggi che riguardavano la
successione.
Saxton sollevò la testa in direzione delle voci. Erano più forti
adesso che si trovava in questa stanza, anche se ancora smorzate da un altro
paio di doppie porte.
Quale che fosse questo incontro stava avvenendo nello studio privato
di suo padre.
Altamente insolito. Il maschio non lasciava mai entrare nessuno
lì - non permetteva neanche ai clienti di entrare in casa.
Si trattava di una cosa seria - e Saxton non era uno stupido.
C'era una cabala contro Wrath nella glymera e, ovviamente, suo padre era
coinvolto.
Non c'era motivo di preoccuparsi del futuro Re se non si puntava
a prendere di mira quello attualmente sul trono.
Saxton girò intorno al tavolo, posando lo sguardo su ogni pagina
aperta. Più leggeva, più si allarmava.
"Oh… merda," sussurrò in una delle sue rare
imprecazioni.
Male. Molto male…
Il rumore di una porta che si apriva nello studio gli diede una
scossa. Correndo sulla punta dei mocassini, tornò nel salottino della padrona e,
senza fare rumore, richiuse i battenti alle sue spalle.
Se ne stava di fronte al John Singer Sargent sopra il camino quando
il maggiordomo lo chiamò un paio di minuti dopo.
"Ora può ricevervi."
Inutile buttare lì un grazie. Si limitò a seguire il doggen sulla scia della sua disapprovazione
- e si preparò a riceverne ancora da parte di suo padre.
Di solito detestava andare lì.
Ma non quella sera. No, quella sera aveva uno scopo ben più grande
che contrastare quello che si preannunciava come l'ennesimo tentativo paterno
di umiliarlo per costringerlo a rigare diritto.
* * *
Purrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr.
Trez aggrottò la fronte a quel suono. Dischiudendo un occhio,
vide suo fratello ritto accanto al letto con in braccio il gatto nero Boo, e
un'espressione di disapprovazione negli occhi di ghiaccio.
Gli occhi di suo fratello, non del gatto.
"Conti di battere la fiacca un'altra notte" sbottò
iAm.
Non era una domanda, dunque perché disturbarsi a tirar fuori una
risposta.
Rizzandosi a sedere con un gemito, Trez dovette puntellarsi sulle
braccia per tenere il busto in verticale.
A quanto pareva, mentre lui era fuori
servizio, il mondo si era trasformato in un hula hop e il pianeta girava
vorticosamente intorno al suo collo.
Alzando bandiera bianca, si lasciò ricadere sul materasso.
Quando suo fratello rimase lì rigido, Trez capì che quella era
la sirena che lo richiamava alla realtà. E voleva rispondere, sul serio. Ma il
suo corpo era a secco di carburante.
"Quando è stata l'ultima volta che ti sei attaccato a una
vena?" pretese di sapere iAm.
Trez lo guardò ed eluse la domanda. "Da quando sei diventato
un amante degli animali?"
"Odio questo maledetto gatto."
"Si vede."
"Rispondi."
Il fatto che non riuscisse nemmeno a ricordare quando aveva… no,
buio più assoluto.
"Ti mando qualcuno," borbottò iAm. "Poi io e te dobbiamo parlare."
"Parliamo adesso."
"Perché? Così dopo potrai fingere di non aver capito
bene?"
Beh, quella sì che era un'idea. "No."
"Se la prenderanno con nostro padre e nostra madre."
Trez si tirò di nuovo su, e stavolta senza bisogno di aiuti aggiuntivi.
Merda. Avrebbe dovuto aspettarselo dalla s'Hisbe, ma…
"In che modo?"
"Secondo te?" Suo fratello smise di grattare delicatamente
le orecchie del gatto nero e passò sotto al mento. "Cominceranno con lei."
Trez si sfregò la faccia. "Gesù Cristo. Non mi aspettavo
che l'alto sacerdote fosse così…"
"Non era lui. Nah. Lui è stato la seconda persona che è passata a trovarmi ieri sera."
"Che ore sono?" Anche se il fatto che potesse vedere fuori
dalle finestre che era notte rispose almeno in parte alla domanda. "Perché
non mi hai svegliato quando sei arrivato a casa?"
"Ci ho provato. Tre volte. Avevo in mente di mandarti un
carrello emergenze, se non ti svegliavi adesso."
"Allora, cos'ha detto l'alto sacerdote?"
"È di s'Ex che dobbiamo preoccuparci."
Trez abbassò le mani. Fissò suo fratello; doveva aver capito
male, per forza. "Chi, scusa?"
"Non c'è bisogno di ripeterlo, quel nome, giusto?"
"Oh, Dio." Cosa cavolo credeva di fare il sicario
della regina andando a trovare suo fratello? D'altronde…
"Stanno proprio alzando
la posta di brutto, vero?"
iAm si sedette sul bordo del letto, il materasso s'infossò sotto
al suo peso. "Siamo al dunque, Trez. Basta fingere, basta persuasione.
Hanno usato la carota; ora useranno il bastone."
Trez pensò ai suoi genitori, ricordava a malapena i loro volti.
L'ultima volta che li aveva visti era stata… beh, ecco un'altra cosa che non
ricordava. Un ricordo però era nettissimo. Gli appartamenti in cui vivevano.
Marmo ovunque. Infissi d'oro. Tappeti di seta. Domestici dappertutto. Gioielli
appesi alle lampade per creare un effetto scintillante.
All'inizio non era così - e quella era un'altra cosa che
ricordava: era nato in un modesto trilocale in un angolo sperduto della corte -
abbastanza grazioso secondo i normali standard.
Niente a che vedere con quello che avevano ottenuto quando
avevano venduto il suo futuro.
Dopo di che? Mentre loro salivano i gradini della scala sociale,
ottenendo il meglio del meglio, lui era stato cresciuto dal personale della
regina, in solitudine in una stanza bianca. Soltanto quando si era rifiutato di
mangiare e di bere per diverse notti di fila gli avevano mandato iAm.
Ecco come era iniziato il loro rapporto disfunzionale.
Da allora? In qualche modo, iAm si era assunto la responsabilità
di portarlo avanti.
"Ti ricordi quando li abbiamo visti l'ultima volta?"
si scoprì a chiedere.
"A quel ricevimento. Sai, quello in onore della
regina."
"Oh… giusto." I loro genitori erano seduti con i
Primari della regina, come venivano chiamati. Al centro e in prima fila. Tutti
sorridenti.
Non avevano riconosciuto né lui né iAm, quando erano entrati, ma
non era un fatto insolito. Una volta venduto, Trez era diventato di proprietà
della regina. E, una volta arruolato per appianare le cose, nemmeno iAm era più
appartenuto a loro.
"Non si sono mai voltati indietro, vero?" mormorò
Trez. "Io sono solo una merce per loro. E, cavolo, hanno spuntato un
ottimo prezzo."
iAm rimase in silenzio, come al suo solito. Rimase seduto lì, ad
accarezzare quel gatto.
"Quanto tempo mi rimane?" chiese Trez.
"Devi andare stanotte." Due occhi scuri si spostarono
su di lui. "Cioè subito."
"E se non lo faccio…" Inutile rispondere, e iAm non lo
fece: se non si alzava dal letto per consegnarsi, i suoi genitori sarebbero
stati massacrati. O peggio.
Probabilmente molto peggio.
"Quei due sono parte integrante del sistema," disse. "Hanno ottenuto esattamente ciò che volevano."
"Allora non ci andrai."
Una volta rimesso piede nel Territorio, non avrebbe mai più rivisto
il mondo esterno. La guardia della regina lo avrebbe rinchiuso in quel
labirinto di corridoi e tenuto sottochiave per trasformarlo nell'equivalente
maschile di un harem, separandolo perfino da suo fratello.
E nel frattempo, i suoi genitori avrebbero continuato a vivere,
incuranti.
"Lei mi ha guardato," borbottò. "La sera del
ricevimento. Ha puntato gli occhi nei miei - e mi ha rivolto quel sorrisetto di
superiorità. Come se avesse fatto tutte le mosse giuste, col vantaggio
supplementare di non avermi più tra i piedi. Che razza di madre fa una cosa
così?"
"Quindi li lascerai morire."
"No."
"Allora ritornerai lì."
"No."
iAm scosse la testa. "O una cosa o l'altra, Trez. Lo so che
sei incazzato con loro, con la regina, con centomila altre cose. Ma ormai siamo
arrivati al bivio, e ci sono solo due possibilità. Ficcatelo bene in testa - e
io tornerò lì con te."
"No, tu resterai qui." Mentre la sua testa confusa
tentava di mettere insieme le variabili, il suo cervello era tutto un lavorio,
ma niente lampi di genio. "E poi non ho intenzione di andare."
Merda, aveva bisogno di nutrirsi prima di provare ad affrontare
la faccenda.
"Cazzo, quel sangue umano fa proprio schifo," biascicò
massaggiandosi le tempie, come se quella frizione potesse dare un'impennata al
suo Quoziente Intellettivo.
"Sai cosa? Adesso non posso proprio parlarne -
e non perché voglio fare lo stronzo. È
che non riesco a pensare, nel vero senso della parola."
"Ti mando qualcuno." iAm si alzò e andò alla porta che
separava le loro suite. "Poi però devi prendere una decisione. Hai due
ore."
"Mi odierai," sbottò Trez.
"Per loro?"
"Già."
La risposta si fece attendere a lungo. Poi il gatto smise di
fare le fusa, le mani di iAm si immobilizzarono intorno al suo collo.
"Non lo so."
Trez annuì. "É giusto."
La porta era già chiusa e suo fratello era già lontano quando il
cervello di Trez tirò fuori un ehi–aspetta–un–attimo.
"Non Selena," gridò Trez. "iAm! Ehi! Non
Selena!"
Già non si fidava di quello che poteva farle quando gli diceva
bene - l'ultima cosa che gli serviva al momento era starle vicino.
mercoledì 15 ottobre 2014
Capitolo 25 di THE KING di J.R. Ward
The King
25
"Wrath!"
Urlando il nome del marito, Beth si
sollevò di scatto dai cuscini e per un momento non realizzò dove si trovasse.
Le pareti in pietra e la preziosa trapunta in velluto non erano -
La casa di Darius. La camera non
era quella di suo padre, ma quella che usava Wrath quando gli serviva un posto
dove poter riposare. La stessa in cui si era spostata perché non riusciva ad
addormentarsi.
Doveva essere crollata sul piumone
alla fine -
Un telefono squillò a distanza.
Scostando i capelli dal viso, Beth
scoprì di avere appoggiata sulle gambe una coperta che non ricordava d'aver
tirato su... la sua valigia nella stanza... e un vassoio d'argento sul
comodino.
Fritz. Il maggiordomo doveva
essersi presentato durante il giorno.
Massaggiandosi lo sterno, guardò il
cuscino vuoto di fianco al suo, le lenzuola perfette, la mancanza di Wrath - e
si sentì peggio della notte precedente.
E pensare che credeva che avessero
toccato il fondo. Oppure che starsene un po' da sola l'avrebbe aiutata -
"Merda, Wrath?" sbraitò,
saltando giù dal letto.
Corse verso la porta e la spalancò,
si lanciò nel corridoio dal soffitto basso e arrivò nella stanza del padre,
tuffandosi sul telefono su uno dei comodini.
"Pronto! Pronto? Pronto...
?"
"Ciao."
Al suono di quella voce profonda,
Beth crollò sul letto, stringendo la cornetta con forza e spingendola verso
l'orecchio, come se in quel modo potesse far arrivare il suo uomo da lei.
"Ciao." Beth chiuse gli
occhi e non si curò di trattenere le lacrime, le lasciò cadere.
"Ciao."
La voce di Wrath era brusca quanto
la sua. "Ciao."
Ci fu un lungo silenzio, che andava
bene: anche se lui era a casa mentre lei era lì, era come se si stessero
abbracciando.
"Mi dispiace," disse lui.
"Mi dispiace sul serio."
Beth si lasciò sfuggire un singhiozzo.
"Ti ringrazio..."
"Mi dispiace." Wrath fece
una risatina. "Non sono proprio eloquente, vero?"
"Va bene così. Neanche a me va
di parlare... stavo sognando te, credo."
"Un incubo?"
"No. Mi mancavi."
"Non me lo merito. Avevo paura
che se ti avessi chiamata al cellulare non mi avresti risposto. Ho pensato che
forse, se ci fosse stato qualcuno con te, avrebbe potuto rispondere e... sì, mi
dispiace."
Beth sospirò allungandosi sui
cuscini. Incrociò le gambe alle caviglie e lasciò scivolare lo sguardo sulle
foto che la ritraevano. "Sono nella sua stanza da letto."
"Davvero?"
"Non c'è il telefono in quella
che usavi tu."
"Dio, è passato un secolo da
quando sono stato in quella casa."
"Già. Fa ricordare tante
cose."
Puoi scommetterci."
"Come sta George?"
"Gli manchi." Si sentì un
tonfo soffocato - la mano di Wrath che batteva sul fianco del cane. "È
proprio qui accanto a me."
La buona notizia era che disquisire
su argomenti neutri era il modo perfetto per approcciarsi l'uno all'altra. Ma
la discussione più importante continuava a incombere minacciosa.
"Quindi la testa di John è a
posto," disse lei, tormentando l'orlo della camicetta. "Ma saprai già
che tutto è andato bene all'ospedale."
"In realtà, no. Veramente sono
stato... un po' sfasato."
"Ho chiamato."
"Davvero?"
"Sì. Tohr mi ha detto che
stavi dormendo. Sei riuscito a riposare?"
"Ah... sì."
Wrath tacque, quel secondo silenzio
era di tipo preparatorio, che indicava lo scandire del conto alla rovescia verso
l'argomento più scottante. Eppure, Beth non era sicura di come inserire il
discorso, cosa dire, come -
"Non credo di averti mai
parlato molto dei miei genitori." cominciò Wrath. "A parte del fatto
che furono..."
Uccisi, concluse Beth al posto suo
nella propria mente.
"Erano anime gemelle, per
usare un termine umano. Voglio dire, anche se ero un bambino, ricordo loro due
insieme, e suppongo che la verità sia che, quando sono morti, ho pensato che
quell'intesa fosse finita con loro. Come se il loro fosse il tipo di amore che
accade una volta ogni mille anni, o una roba del genere. Ma poi ti ho
incontrata."
Le lacrime di Beth erano calde
mentre scorrevano lungo le guance, alcune caddero sul cuscino, altre
scivolarono nell'orecchio. Allungò una mano e afferrò un Kleenex e asciugò il
viso senza fare alcun rumore.
Ma Wrath sapeva che lei stava
piangendo. Doveva saperlo per forza.
La voce di Wrath divenne sottile,
come se faticasse a mantenere la compostezza. "Quando mi hanno sparato,
quella notte, un paio di mesi fa, e Tohr e io trascinammo i nostri culi fuori
dalla casa di Assail, non avevo paura di morire o roba del genere. Certo,
sapevo che era una brutta ferita, ma non era la prima volta che mi trovavo
nella merda - e sapevo che ce l'avrei fatta... perché niente e nessuno potrà
portarmi via da te."
Stringendo il telefono nell'incavo
del collo con la spalla, Beth ripiegò il fazzoletto bagnato in piccoli
quadrati. "Oh, Wrath..."
"Se penso a te
incinta..." La sua voce si spezzò. "Io... io... io, oh merda,
continuo a cercare le parole giuste, ma non riesco a trovarle, Beth. Non ci
riesco e basta. So che vorresti provare ad avere un bambino, lo capisco. Ma tu
non hai vissuto quattrocento anni in cui hai visto e sentito come le vampire
muoiono di parto. Io non posso - nel senso che non riesco a togliermelo dalla
testa, capisci? E il problema è che sono un vampiro innamorato, per cui mentre vorrei
darti ciò che desideri, c'è una parte di me che non vuole sentir ragioni. Per
niente - non quando è in ballo la tua vita. Vorrei essere diverso, perché questa
cosa mi sta uccidendo, ma non posso cambiare quel che sono."
Girandosi su un lato, Beth prese un
altro fazzoletto dalla scatola. "Ma esiste la medicina moderna. Abbiamo la
dottoressa Jane e -"
"E poi, se il bambino nascesse
cieco? Cosa succederebbe se avesse i miei occhi?"
"Amerei lui o lei nello stesso
identico modo, te lo assicuro."
"Chiediti a cosa li stiamo
esponendo in termini genetici, almeno. Io riesco a cavarmela, certo. Ma se
credi anche solo per un istante che la vista non mi manchi, ti sbagli di
grosso. Mi manca ogni santo giorno. Mi sveglio di fianco alla femmina che amo e
non posso vedere i suoi occhi la sera. Non so come stai quando ti fai bella per
me. Non posso guardare il tuo corpo quando sono dentro di te -"
"Wrath, tu fai già così tanto
-"
"E la cosa peggiore di tutte?
Non posso proteggerti. Non posso neanche lasciare la casa - e questo ha a che
fare tanto col mio fottuto lavoro quanto con la cecità - oh, e non illuderti.
Legalmente, se avremo un figlio maschio, dovrà succedermi al trono. Lui non
avrà scelta - come non l'ho avuta io ed è una situazione che detesto. Odio ogni
notte della mia vita - Gesù, Beth, odio alzarmi dal letto, odio quella cazzo di
scrivania, odio i proclami e le altre stronzate e odio essere rinchiuso in questa
casa del cazzo. Lo odio."
Dio, Beth sapeva che Wrath non era
felice della propria vita, ma non aveva idea che il disagio avesse radici tanto
profonde.
D'altronde, quando era stata
l'ultima volta che avevano parlato in questo modo? Col tran tran quotidiano che
faceva il paio con lo stress dovuto alla Banda dei Bastardi e alle loro
stronzate...
"Non lo sapevo." Beth
singhiozzò. "Voglio dire, sapevo che eri scontento, ma..."
"Non mi va di parlarne. Non
voglio che ti preoccupi per me."
"Ma mi preoccupo comunque. So
che sei stato sotto stress - e vorrei poterti aiutare in qualche modo."
"È questo che intendo. Non c'è
alcun rimedio, Beth. Nessuno può fare niente - e anche se avessi una vista
perfetta e i rischi della gravidanza fossero una sciocchezza, non vorrei
comunque scaricare questa merda sulla prossima generazione. È una crudeltà che
non affibbierei neanche al mio peggior nemico, figurati a mio
figlio." Wrath rise aspramente.
"Diamine, dovrei lasciare che Xcor si prenda quel maledetto trono. Gli
starebbe bene."
Beth scosse la testa. "Tutto
ciò che io voglio è che tu sia felice." In realtà non era così. "Ma
non posso mentire. Ti amo, eppure..."
Ragazzi, adesso aveva un'idea di
come si sentiva lui nel non riuscire a trovare le parole adatte.
Eppure Wrath aveva trovato una
maniera per parlare.
"Quasi non riesco a
spiegarlo." Lei portò un pugno sul cuore. "È come se avessi un vuoto
al centro del mio petto. Non ha niente a che fare con te o quello che provo per
te. È dentro di me - come un pulsante che si è attivato, capisci? E vorrei
riuscire a spiegare meglio di così, è difficile da descrivere. Non sapevo
neanche che esistesse... fino a che non feci da babysitter una di quelle notti
in cui Z e Bella andarono al nostro appartamento per starsene un po' da soli.
Me ne stavo nella loro suite con Nalla che dormiva tra le mie braccia e
continuavo a guardare tutta la roba che avevano in quella camera. Il
fasciatoio, le giostrine sospese, la culla... tutte le salviette umidificate, i
biberon e i ciucci. E pensavo... voglio anch'io tutto questo. La pattumiera per
i pannolini sporchi, le paperelle di gomma, lo stare sveglia tutte le giornate.
La cacca e il profumo dell'ora del bagnetto, i pianti e le coccole, i classici
rosa e azzurro - andava benissimo sia maschietto che femminuccia. E, ascolta,
ci ho riflettuto bene. Davvero. È stato un tale shock che ho pensato - è uno
sbalzo d'umore, una fase, una rosea illusione che prima o poi passerà."
"Quando..." Wrath si
schiarì la gola. "Quando è successo?"
"Più di un anno fa."
"Dannazione..."
"Come ho detto, per un po' di
tempo mi sono sentita in questo modo. E pensavo che tu avresti cambiato idea.
Sapevo che non era una priorità per te." Stava provando a essere
diplomatica. "Ho pensato... beh, ora che lo sto dicendo mi sono resa conto
che non te ne ho mai parlato. Non ce n'è stato il tempo."
"Mi dispiace. So di essermi
già scusato, ma... maledizione."
"Non importa." Lei chiuse
gli occhi. "E so perfettamente come ti senti. Non è che non ti abbia visto
ogni notte con in viso l'espressione di chi voleva trovarsi in qualunque altro
posto tranne dove invece stava."
Ci fu un altro lungo silenzio.
"C'è un'altra cosa,"
disse lui dopo un istante.
"Cosa?"
"Credo che presto entrerai nel
tuo bisogno."
Anche se Beth era rimasta a bocca
aperta, qualcosa nel profondo della sua mente si accese. "Io... come fai a
saperlo?"
L'umore altalenante. La voglia di
cioccolato. L'aumento di peso...
"Merda," disse lei.
"Io, ah... oh, merda."
* * *
Eeeee diciamo che quella parola riassumeva
bene il tutto, pensò Wrath appoggiandosi allo schienale della sedia alla scrivania
della biblioteca. Ai suoi piedi, George se ne stava sdraiato sul tappeto con
l'enorme testone appoggiato su uno degli stivali di Wrath, quasi a offrirgli
supporto.
"Non posso esserne
certo." Wrath si massaggiò la tempia dolorante. "Ma come tuo
compagno, subirò l'influsso dei tuoi ormoni non appena si attiveranno - mi
eccito più facilmente, le emozioni si amplificano, divento molto più
suscettibile. Ad esempio, ora non sei in casa, giusto? E mi sento molto più me
stesso di quanto mi sia sentito nelle ultime due settimane. Ma mentre
litigavamo ero fuori di testa."
"Due settimane... è proprio
quando ho cominciato ad andare a trovare Layla. E sì, eri davvero fuori di
testa."
"Ora" - Wrath le puntò
contro l'indice anche se Beth non era fisicamente di fronte a lui -
"questa non è una scusa per il mio comportamento, serve solo a
contestualizzarlo, posso parlare con te al telefono come in questo momento e
contenermi a sufficienza in modo da potermi spiegare. Se mi sei vicina, invece,
e ripeto, non è una scusa né tantomeno colpa tua, ma mi chiedo se non abbia
giocato una parte decisiva in quello che è successo."
Quando Wrath si allungò di lato e
poggiò la mano sul cane, George alzò la testa, l'annusò e gli diede una
leccatina. Accarezzandogli il lungo pelo che gli ricopriva petto, Wrath le
districò lisciandole verso le zampe di George.
"Dio, Wrath, svegliarmi senza
di te è stato..."
"Orribile. Lo so. È stato lo
stesso per me - o forse anche peggio. Credevo di aver rovinato tutto. Nel senso
mandato tutto a puttane senza ritorno."
"No, non lo hai fatto."
Si sentì un fruscio, come se Beth stesse cambiando posizione sul letto. "E
credo che per un periodo abbiamo camminato su binari paralleli e non affiancati,
lo sapevo. Solo che non avevo compreso quanto tempo abbiamo perso - e anche
altre cose. Starcene a Manhattan da soli, insieme, parlare sul serio. Non lo
facevamo da un bel po'."
"Onestamente, questa è
un'altra ragione per cui non voglio un figlio. A malapena riesco a dedicarmi a
te. Non ho niente da offrire a un bambino."
"Non è vero. Saresti un
meraviglioso padre."
"In un altro universo,
probabilmente."
"E allora cosa facciamo?"
chiese Beth dopo un istante.
Wrath si stropicciò gli occhi.
Dannazione, si sentiva sotto l'effetto dei postumi di una sbornia colossale.
"Non lo so. Davvero non ne ho idea."
Entrambi avevano esternato il
proprio punto di vista nel modo in cui si sarebbe dovuto fare fin dall'inizio.
Ragionevolmente e con calma.
In realtà era stato lui ad avere un
problema in quella situazione, non lei.
"Mi dispiace così tanto,"
ripeté Wrath. "Non serve a molto, su talmente tanti aspetti, lo so. Ma non
c'è nulla che io possa... cavolo, mi sono davvero scocciato di sentirmi
impotente."
"Non sei impotente,"
disse lei seccamente. "Lo abbiamo appurato con certezza."
Tutto ciò che lui riuscì a fare fu
grugnire in risposta. "Quando torni a casa?"
"Adesso. Prendo la macchina -
credo che ce ne sia una di riserva da qualche parte."
"Aspetta fino a che non fa
buio."
"Wrath, ci siamo già passati.
Non ho problemi con la luce del sole. Inoltre sono quasi le quattro e mezza. Manca poco
al tramonto."
Quando Wrath immaginò Beth sotto la
luce scintillante del sole, lo stomaco gli si contorse - e pensò a Payne che lo
aveva accusato di essere uno sciovinista. Rispetto alla preoccupazione per la
sua shellan, era molto più semplice uscirsene
con un Ti Proibisco. Il problema era
la reazione di Beth a quell'imposizione.
Non poteva mica chiuderla in una
gabbia dorata solo per evitare di andare fuori di testa riguardo alla sua
sicurezza.
E forse tutta questa storia della
gravidanza per lui era solo una sfumatura più intensa della sua codardia.
"Okay," Wrath sentì la
sua stessa voce. "Va tutto bene. Ti amo."
"Anch'io ti amo - Wrath,
aspetta un attimo."
"Sì?" Seguì un lungo
silenzio e lui si accigliò. "Beth? Che c'è?"
"Voglio che tu faccia una cosa
per me."
"Qualunque cosa."
"Le ci volle un po' prima di
parlare. E quando lo fece, lui chiuse gli occhi e lasciò andare la testa
all'indietro.
"Wrath? Hai sentito quello che
ho detto?"
Ogni singola parola. Purtroppo.
Stava per buttare fuori un
assolutamente-no, quando ripensò a come si era sentito risvegliandosi senza averla
accanto.
"Okay," disse a denti
stretti. "Va bene. Lo farò."
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